Cattolicesimo liberale, un umanesimo politico per il futuro, in cui la libertà nasce dalla verità, la giustizia dalla misericordia,

L’Occidente nasce dall’intreccio fra Grecia e Cristianesimo, non dalla loro contrapposizione. «Conosci te stesso, e non considerarti mai superiore a Zeus»: l’ammonimento delfico esaltava la giusta misura, educava al limite, e quindi alla libertà. Il Cristianesimo ha ripreso questa eredità, portandola a un suo compimento di fede: la gloria di Dio è l’uomo vivente (Ireneo di Lione), cioè un essere fragile e insieme riflesso di una bellezza più grande di lui. In questa “dossologia” (scienza della gloria, non trionfalismo) si radica una visione del progresso sociale, economico, scientifico e artistico: ciò che eleva la dignità dell’uomo – il lavoro, la scienza, la giustizia, l’arte – diventa luogo di rivelazione e trasfigurazione. In questa luce, già nel Basso Medioevo Duns Scoto, non a caso francescano, affermò che Dio si sarebbe incarnato comunque, anche senza il peccato: perché l’uomo potesse diventare divino.

La storia non è una riparazione, è una vocazione. Dostoevskij lo ha espresso nella formula più intensa: «la bellezza salverà il mondo». Manzoni, con la sua etica della fragilità e del servizio, vi pone il fondamento politico: se ogni uomo porta in sé un valore infinito, allora la politica non può essere dominio, ma cura. La grande letteratura dell’Ottocento incarna così un insegnamento che fu già della Scolastica Tardomedievale e che era ben noto e caro anche a Lutero ed Erasmo nella loro disputa rinascimentale sul Libero Arbitrio: la libertà cristiana si articola nella libertas minor, la scelta fragile, e nella libertas maior, la libertà piena dei figli di Dio: «conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Essere nel mondo, ma non del mondo significa partecipare pienamente alla vita civile senza cadere nelle idolatrie del potere. Persino il celebre passo paolino — «non vi è infatti autorità se non da Dio» (Rm 13,1–6) — interpretato alla luce del «Dio che è amore» (1 Gv 4,8), mostra che l’autorità è tale solo quando serve la persona: non è il potere a essere sacro, è la dignità dell’uomo a essere inviolabile. Nello stesso tempo per il Cristianesimo la persona è un essere narrativo: un progetto che si interpreta e si dona, fedele al «il Figlio ha interpretato» — non rivelato — «il Padre» (Gv 1, 18) del Vangelo.

Su queste basi cresce il cattolicesimo liberale. L’Illuminismo europeo, soprattutto quello italiano di Genovesi, Filangieri, Beccaria e Verri, prosegue l’umanesimo classico e la domanda cristiana sulla giustizia. È un interlocutore fondamentale, ma quando ha pretese di totale autosufficienza tradisce la pura eredità greca e romana che lo ha generato: la ragione vive di misura, non di assolutizzazione.
Félicité Robert de La Mennais proclamò la formula decisiva «Dio e libertà», analoga a ciò che da sempre ogni credente recita durante la liturgia: «per noi e per la nostra salvezza», dove il «per noi» si distingue, senza separarsi, dalla salvezza, ovvero dalla redenzione dai peccati. Egli, finché gli fu permesso, fondò e diresse il giornale L’Avenir (1830-1831), e sostenne la libertà di coscienza, d’insegnamento, di stampa, di associazione, l’estensione del diritto elettorale.

In Italia questa linea assunse i volti di Antonio Rosmini, che vide nella persona un “diritto vivente”; di Vincenzo Gioberti, che immaginò una patria come comunità morale; Gioacchino Ventura elaborò il pluralismo dei poteri; Raffaello Lambruschini portò la libertà nel terreno educativo. Luigi Taparelli d’Azeglio formulò il principio di sussidiarietà, secondo il quale la società nasce dalle persone e dalle comunità naturali, non dallo Stato. Il ricordo della vicenda dell’Unità d’Italia può provocare nel cattolico moderno un senso di colpa, nel senso che la Storia lo avrebbe costretto suo malgrado a dare nuovamente «a Cesare quel che è di Cesare» (Matteo 22, 21). Non a caso Manzoni disobbedì al Non expedit di papa Pio IX ed entrò nel Senato d’Italia. Tuttavia non si può dimenticare come l’espropriazione dei beni ecclesiastici e la soppressione degli ordini religiosi significarono uno smantellamento indiscriminato di conventi e opere pie. Se l’obiettivo era di ridurre il potere del clero e rifinanziare le casse pubbliche, tutto ciò portò in realtà a un grave vuoto sociale e culturale: vennero meno scuole, ospedali e biblioteche religiose, mentre il patrimonio artistico e librario fu in gran parte disperso o perduto. Sul piano economico, la vendita dei beni favorì solo le élite, aggravando la concentrazione fondiaria soprattutto nel Mezzogiorno e alimentando disuguaglianze e tensioni che contribuirono alla nascita della questione meridionale.

Il cattolico contemporaneo può e deve riconoscersi nella novità del Concilio Vaticano II rispetto al perdurare plurisecolare dello spirito della Controriforma, ma può e deve anche vedere la specificità provvidenziale della storia della Chiesa di Roma, che mantenendo un territorio di propria amministrazione conserva anche uno spazio simbolico di autonomia che l’aiuta a manifestare sempre la sua universalità (katholikós significa appunto “universale”). Il destino delle chiese ortodosse e anche protestanti vede invece non di rado un identificarsi fra fede e nazione che rischia di inquinare il messaggio evangelico. Nel Novecento, Luigi Sturzo trasformò questa visione in un progetto politico: libertà «per tutti e sempre», rifiuto del totalitarismo, municipalismo come scuola di democrazia. Nell’Italia del Secondo Dopoguerra si manifestarono grandi figure del cattolicesimo sociale. Il monaco Giuseppe Dossetti fece della Costituente un magnifico laboratorio personalista; il terziario domenicano Giorgio La Pira trasformò Firenze in un luogo teologico dell’ospitalità e della fraternità sociale, mostrando la politica come servizio.

In questo quadro si inserisce la figura liberale di Alcide De Gasperi: considerato a buon diritto uno dei padri dell’Europa unita, promosse la riconciliazione tra gli Stati democratici dopo la guerra, sostenne la Dichiarazione Schuman e rese l’Italia protagonista nella nascita della CECA, primo nucleo delle istituzioni comunitarie. Luigi Einaudi, economista e Presidente della Repubblica, vide nella responsabilità economica e nella legge il limite morale del potere: l’economia non come desiderio illimitato, ma come scienza concreta delle possibilità e dei limiti. Angelo Tosato, biblista, mostrò che il Vangelo non propone la miseria ma la vigilanza contro gli idoli: la parabola dei talenti è un invito alla responsabilità, non alla rinuncia.

Il Concilio Vaticano II ha confermato e rilanciato tutto questo. La Dignitatis Humanae ha proclamato la libertà religiosa come diritto umano; la Gaudium et Spes invita tuttora al dialogo con la modernità; la Dei Verbum riconosce la legittimità del metodo storico-critico. Perché, tuttavia, queste prospettive non sono ancora pienamente coltivate? Perché spesso la Chiesa ha esitato nel sostenere i laici nella loro vocazione politica, accentuando la sua dimensione di istituzione più che quella di madre; e perché una parte del mondo laico continua a vedere nel credente un interlocutore sospetto o non adeguato. L’assenza delle radici giudeo-cristiane nel progetto di Costituzione europea ne è un esempio: non neutralità, ma rimozione culturale. In un tempo di fragilità manipolate e solitudini sociali, il cattolicesimo liberale non è un residuo: è un umanesimo politico per il futuro, in cui la libertà nasce dalla verità, la giustizia dalla misericordia, la politica dal servizio, e la speranza diventa costruzione comune.