Verso il conclave
La Chiesa riformista è ancora lontana. Ambienti rituali e conservatori, anche una decisione pontificia richiede consenso

L’editoriale del direttore di sabato 26 aprile – “La Chiesa è più giovane dell’Italia: si interroga sul futuro, noi guardiamo indietro” – ha sollevato almeno due questioni: la prima riguarda la Chiesa, che si riorganizza; la seconda concerne la politica, irrigidita negli stessi linguaggi, rituali, protagonisti di sempre. Queste due questioni aperte mi hanno fatto tornare in mente Enrico Chiavacci: teologo-simbolo del Concilio Vaticano II e tra i principali moralisti italiani. Quando sono andata a trovarlo aveva 84 anni. È morto a 87, pochi mesi dopo l’inizio del papato di Francesco.
Nel 2000 aveva criticato lo “schema rigido maschio-femmina” come unico riferimento nella morale cattolica e invitato a smettere di usare genericamente il termine “omosessuale”, perché limitava il “campo di osservazione della morale cattolica” al puro “evento fisico o biologico”. Fatto sta che, dal 2001 fino al 2009, Chiavacci non pubblicò più altri interventi sulla questione omosessuale. Sosteneva che tutta la morale sessuale della Chiesa andasse ripensata visto che, al momento della sua fondazione, era legata alla funzione riproduttiva del maschio, “mentre oggi, anche sulla base delle conoscenze scientifiche, sappiamo che è un’idea superata”.
Il ricordo
Il nostro scambio durò un paio d’ore e si concluse con parole che ricordo perfettamente: “I tempi della Chiesa si misurano sull’eternità: non si può andare contro duemila anni tanto facilmente. Occorre aiutarla a comprendere. Molti teologi vivono in un quadro mentale vecchio, sono come quelle associazioni di preti che vogliono la messa in latino”. E non gli si può dare torto, anche alla luce del pontificato di Francesco: che ha aperto varchi e dato segni di speranza a diverse comunità (Lgbtq+ ma anche le donne), senza portare a compimento vere riforme. Avrebbe potuto? Solo in parte. Il Papa è dotato di tutti i poteri per esercitare sovranità sulla Chiesa universale: può cambiare quasi tutto, eccetto ciò che è dogma di fede. Però il potere formale non basta: ogni riforma, anche se tecnicamente può partire da una decisione pontificia immediata, richiede consenso.
I riti che rafforzano
Del resto non esistono religioni senza riti. Né culture: il rituale è parte della pratica culturale collettiva e, in politica, diventa forma di potere che si cristallizza. È vero, i riti rafforzano le comunità, non le rivitalizzano. Le proteggono senza aprire prospettive nuove: lo abbiamo visto durante il Covid, quando abbiamo moltiplicato gesti ripetitivi per trovare un appiglio contro la paura. Rituale è, ad esempio, anche il dibattito sul 25 aprile: una pratica collettiva in cui destra e sinistra si esercitano ogni anno, ripetendo ruoli e argomentazioni stanche. Con inviti da destra alla “sobrietà, che hanno mostrato l’insipienza di vari esponenti della maggioranza; e le risposte del centrosinistra, allineate a una retorica che scivola sulla realtà, non incide e non genera cambiamento.
La dicotomia tra vecchio e nuovo
Ma la dicotomia tra vecchio e nuovo è più complessa di quanto sembri. E non c’è solo l’invecchiamento biologico: la popolazione è sempre più anziana, ma soprattutto i giovani – meno numerosi – sono totalmente sottorappresentati. Le istituzioni culturali ed educative sono costruite su modelli del passato, spesso incapaci di leggere il presente. La politica si immobilizza. Abbiamo così una situazione paradossale: il mondo cambia vertiginosamente – tecnologie, clima, geopolitica – ma le società si irrigidiscono (culturalmente, demograficamente) e la politica si immobilizza (nel teatro di vecchie promesse e paure). E allora: da dove può nascere il nuovo? Nasce quando si crea spazio di senso: non dalla sola accelerazione tecnologica, né tantomeno da una “giovinezza anagrafica” messa in vetrina. Nasce da nuove comunità che sperimentano vita alternativa. Nasce da nuove pratiche politiche che non imitano il passato, ma inventano modi diversi di stare insieme. È la capacità di riaprire il futuro, non semplicemente di “cambiare facce”. Per questo, non basterà un nuovo Papa perché – come ha detto qualcuno – sarà, come minimo, cattolico.
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