Col Coronavirus lo Stato è diventato populista: nasce democrazia illiberale

Chiudere le scuole di ogni ordine e grado in tutto il Paese è in sé un fatto eccezionale. Ed è anche un fatto molto discutibile, infatti è stato discusso tra gli esperti per la ragione, evidente, che i giovani sono il segmento di popolazione meno esposto al contagio del virus. Tuttavia resta il fatto eccezionale. E forse da questo fatto eccezionale bisognerebbe partire per portare una riflessione sul regime politico che lo promuove. Monsignor Paglia, su questo giornale, ha indicato un bivio davanti al quale ci troviamo oggi e ha detto: «Seguire la scienza medica o la paura. La seconda maniera è di tipo medievale: chiudiamo le frontiere esterne, isoliamo le aree interne di ogni singolo paese, fermiamo i commerci e gli scambi culturali, sociali e di ogni tipo. È il capitalismo della sorveglianza». Mi pare l’apertura di una riflessione che dovrebbe continuare.

Intendiamoci, l’epidemia dà alla politica, alle istituzioni, un compito obiettivamente difficile, ma proprio per ciò bisognerebbe essere nella condizione di valutare ogni misura con i pro e i contro che essa può suscitare, senza uno schieramento che mette tutto nello stesso blocco e interpreta ogni cosa in termini di consenso o di dissenso. In realtà questa condizione, che rende il dissenso assolutamente ininfluente, è resa possibile dalla invocazione e dalla costruzione di una union sacrée. L’union sacrée, diversamente dal confronto critico su ogni singola misura e sul loro insieme, condanna il Paese, le popolazioni, i soggetti singoli alla passività e, di fatto, a un consenso forzato. A questo consenso forzato nella politica ci si può sottrarre solo attraverso un uso strumentale della questione, fatto dalla parte politica che ha l’obiettivo di sostituirsi al governo in carica, ma per governare con lo stesso e nello stesso sistema. La conferma di questa condizione è che nello stato attuale della politica italiana non esiste rispetto ai provvedimenti del governo una critica – diciamo così – da sinistra.

Stiamo costruendo un sistema illiberale? Si può dire che siamo alle prove dello stesso. Non c’è quindi bisogno di aspettare i suggerimenti di Orban per vedere messa in atto una politica che rischia di portare a quel sistema. Intanto ne costituisce una prova. Da noi non si poteva fare peggio. Il populismo si è fatto Stato. La paura è ora alimentata dall’allarmismo. L’allarmismo di fatto delle istituzioni, ancora più inquinante perché esso è sistematicamente e formalmente negato ma è praticato dall’intera classe dirigente del Paese e dal governo tradotto in legge e provvedimenti.
È stato scritto che si può contrarre il virus, soprattutto si può morire di virus, frequentando cinema, teatri, club, assemblee, meno che rischiando un incidente stradale mortale alla guida di un’automobile. Se si accede alla orribile contabilità dei morti, bisognerebbe ricordare che solo nel mese di gennaio 52 sono stati i morti sul lavoro. Cosa si fa, si chiudono le fabbriche? Invece si chiudono le scuole. E si vorrebbe che “i vecchi”, la popolazione anziana non uscisse di casa, rinunciando a tanta parte della sua umanità. Facciamo un caso, il caso di una città illustrativa della modernità del paese: Milano.

Milano ha 37 contagi, ma anche Milano vede le sue scuole chiuse, come in tutta Italia, e chiusi insieme alle scuole tutti i luoghi di cultura. In compenso, naturalmente, restano aperti e frequentati obbligatoriamente i luoghi di produzione. Per la produzione dei beni materiali puoi, anzi devi socializzare, intrattenere le relazioni interpersonali. Invece sei impedito a farlo se sei dentro il ciclo di produzione di beni culturali. I beni materiali consentono la socializzazione dei rapporti, i beni culturali li negano. Come spiegarlo a chi resiste all’aria del tempo? Un filosofo di qualità come Roberto Esposito, ha proposto di leggere questa pratica di governo in chiave di biopolitica. Come nel capitalismo della sorveglianza di cui parlava Monsignor Paglia, la questione di vita e di morte occupa allora il centro del conflitto politico e il controllo dei corpi diventa la frontiera di un nuovo autoritarismo. La frontiera della costruzione di nuovi regimi autoritari che non hanno più bisogno di istituire a questo scopo veri e propri regimi di polizia, tantomeno repressioni militari.


L’autoritarismo cambia di spalla al fucile. Lo stato di eccezione – si scusi l’ossimoro – diventa regola. Diventa una fisiologia da far accettare sulla base di una evidenza proclamata quand’anche non concretamente e materialmente esistente. È proprio l’intreccio tra politica e vita biologica che propone di mettere la sicurezza, non la sua concreta attuazione ma l’idea di sé, sopra la concreta libertà e autogoverno delle persone. La produzione legislativa e ordinamentale diventa così sistematicamente emergenziale. Si dice del ritrovato primato della scienza contro la stregoneria che si era affacciata nelle nostre società qualche tempo fa; lo si dice per trovare una giustificazione a questo procedere della politica, ma qui medicina e politica si sono mescolate tanto da rendere illeggibile il confine e ucciderne le reciproche autonomie.

La medicina si fa politica e la politica morente, persa una propria visione del mondo, si costruisce in un girotondo tra la paura che essa stessa genera e il suo inseguimento con i provvedimenti da adottare. Il ruolo della comunicazione di massa diventa, in questa giostra, quello di un protagonista a pieno titolo. Il controllo di ogni comportamento personale si realizza nella costruzione di uno stato postdemocratico, con la sospensione della democrazia e con il controllo dei comportamenti dei singoli individui e, progressivamente, di intere aree della popolazione. Ieri ma anche oggi gli immigrati, come oggi e domani i contagiati e i contagiabili.

Si può obiettare “ma via, il virus c’è, il rischio di contagio pure, seppure enfatizzato dalla produzione della paura, è una minaccia esistente. E poi non vorrete dire che Conte, il governo di Conte, sia protagonista di un così grande disegno?”. No. Lui, loro, no. O almeno non lo sono consapevolmente, ma la macchina e il sistema sì. Bisognerebbe leggere Foucault e ripensare le libertà in questo nostro tempo di transizione.