Si è aperta ufficialmente una nuova partita per il lavoro pubblico, e questa volta le regole d’ingaggio sembrano diverse dal solito copione fatto di ritardi biblici e rincorse dell’ultimo minuto. L’Aran ha appena certificato la rappresentatività per il triennio 2025-2027, confermando la FLP come attore centrale non solo nelle Funzioni Centrali e a Palazzo Chigi, ma attraverso le nostre confederazioni anche nella Sanità e nell’Istruzione. Un passaggio tecnico che, però, ha un risvolto politico immediato: il tavolo di trattativa per il rinnovo del contratto Funzioni Centrali si è svolto lo scorso 3 dicembre.
Non è un dettaglio da poco. Per mesi abbiamo esercitato una pressione costante sul governo affinché fossero rispettati gli impegni presi con il precedente CCNL. L’obiettivo era chiaro: evitare la vacanza contrattuale cronica e avviare il negoziato nel primo anno di vigenza. Oggi, con l’invio all’Aran della “Direttiva madre” e di quella specifica per le Funzioni Centrali, possiamo dire che quel pressing ha pagato, smentendo, nei fatti, chi per mesi ha fatto campagna elettorale denigrando il contratto 2022-2024 per poi, ironia della sorte, correre a firmarlo in zona Cesarini per sedersi al tavolo di trattativa.
Ma essersi seduti al tavolo non basta. La vera sfida inizia adesso, e va detto con chiarezza: non accetteremo un contratto “ponte” o di semplice manutenzione salariale. C’è chi si accontenterebbe di un accordo puramente economico, una soluzione che piace molto alle controparti governative per chiudere la pratica in fretta e con poca spesa. La nostra linea è opposta. Questo rinnovo deve essere completo, vero e, soprattutto, coraggioso.
Il primo nodo è quello delle risorse. Quelle stanziate ci sono, ma sono insufficienti e vanno implementate. Tuttavia, ridurre tutto a una questione di decimali in busta paga sarebbe un errore strategico. Il CCNL 2025-2027 deve entrare nel vivo della “carne” dell’organizzazione del lavoro. Parliamo di ordinamento professionale e meccanismi di progressione che oggi sono ingessati. Parliamo dell’Area delle Elevate Professionalità, che fino ad ora è rimasta una “araba fenice” normativa: esiste sulla carta, ma senza organici adeguati e procedure di reclutamento speciali rischia di rimanere una scatola vuota. Vogliamo vederla operativa, per valorizzare chi, negli uffici, svolge già funzioni complesse senza il giusto riconoscimento.
E poi c’è la questione della modernità. Il lavoro agile e da remoto non possono essere considerati una parentesi pandemica da chiudere, ma istituti da potenziare e liberare dai vincoli burocratici. Così come va sanata una ferita odiosa: la “tassa sulla salute”, ovvero la decurtazione dell’indennità di amministrazione per chi si ammala. È una discriminazione inaccettabile che va cancellata, insieme ai tagli ai Fondi Risorse Decentrate (FRD) che sottraggono ossigeno ai servizi.
Sul piatto abbiamo messo anche il welfare aziendale – che nella PA stenta a decollare per mancanza di fondi dedicati – la rivalutazione dei buoni pasto fermi al palo dell’inflazione e la piena defiscalizzazione del salario accessorio. Non stiamo chiedendo la luna, ma la normalizzazione di un settore che è il motore del Paese. Se qualcuno pensa di cavarsela con un accordo al ribasso, ha sbagliato interlocutore. Questo non è un contratto di passaggio, ma un passaggio decisivo. Noi ci siamo, con la determinazione di sempre.
