Quando nel 2006 uscì “The Road” (“La Strada”), Giuliano Ferrara ne fece una critica talmente entusiasta, tornandoci sopra molte volte. In Italia sarebbe uscito per Einaudi vari mesi dopo. Io mi recai a New York per lavoro, lo comprai e lo lessi in un giorno. Ricordo ancora quella copertina tutta nera, con quelle poche lettere – “The Road” – in stampatello bianco, molto grandi. Tornai in libreria e ne presi dieci copie da regalare agli amici che avevano dimestichezza con l’inglese. In valigia quel blocco nero, legato da uno spago, sembrava una bomba. Ed era una bomba, scoppiata nel mondo sonnolento e melenso degli scrittori americani. Ancora non erano in voga il “MeToo”, la cancel culture, la didattura LGBT che stanno toccando punte di esaltata e ridicola aberrazione nell’odierna cultura degli Stato Uniti. “La Strada” e McCarthy erano comunque troppo potenti, troppo oltre per poter inciampare in queste stupide trappole.

Finalmente tutti dovettero arrendersi e accogliere lo scrittore autoesiliatosi nel profondo Sud, e tributargli gli onori che meritava. In primo luogo il Pulitzer. La scrittura di McCarthy è nel filone di Melville, Steinbeck, Faulkner, del miglior Norman Mailer, ma è anche figlia dell’eterno Omero e della sua “Iliade”. Così nobilmente maschile, con sogni, sofferenze, sfide, impegno consapevole, appartenenza attraverso le generazioni. Parla di vita e di morte, dell’eterna ricerca di un Dio lontano, spesso indifferente, della costante lotta con il male, con il diavolo. Che diventa anche personaggio: il giudice Holden, nel “Meridiano di sangue”, il killer Anton Chigurh in “Non è un paese per vecchi”. Non importa quanto Moss, il cacciatore, ex veterano del Vietnam sia bravo e coraggioso, o lo sceriffo Bell esperto e saggio. Il male esiste, e alla fine vince quasi sempre lui. Come ci hanno mostrato con maestria nel loro film tratto dal libro i geniali Fratelli Coen. È inutile lottare: finché ci sarà il peccato, ci sarà il male, e Dio resterà muto. McCarthy mi ricorda un altro grande autore e regista, Terrence Malick, tratta gli stessi del suo capolavoro, “The Tree of Life”, in modo addirittura più esplicito. Texano di nascita, mentre McCarthy di adozione, avendo scelto di vivere a El Paso. In “The Tree of Life”, i genitori che hanno perso un figlio in Vietnam interrogano Dio: “perché?, perché?, perché?”. Alla fine Dio risponde: “Dov’eravate voi, mentre io creavo io mondo?”.

Nei libri di McCarthy l’uomo è solo, spesso a cavallo, affronta la natura selvaggia, di solito armato. Ed è sempre in cerca di un senso, di un tramite, per elevarsi, per avvicinarsi a Dio. In questa sete di infinito e di eternità come ha tante volte ricordato Benedetto XVI. Le notti, le stelle nei cieli limpidissimi, o gli uragani, il fuoco dei bivacchi con le faville che si mischiano alle stelle. I soliloqui, per sentire almeno la sua voce. Porta la sua innocenza, la sua bontà, il fuoco dell’umanità, a rischiarare questo buio che ci circonda, un buio interiore in cui moltissimi hanno perso la loro bussola senza rendersene nemmeno conto.

Ce la caveremo, vero, papà?
Sì. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco?
Sì. Perché noi portiamo il fuoco.

In queste poche righe c’è tutto McCarthy, c’è tutta “La Strada”, libro meraviglioso, e ci siamo anche noi, con la nostra fede, con il nostro indomabile anelito al bene. McCarthy è stato un nuovo Prometeo. Anche lui ci ha donato il fuoco, che torna ancora nel finale di “Non è un paese per vecchi”, quando lo sceriffo, sconfitto, sogna suo padre.

Continuava a cavalcare, era avvolto in una coperta e teneva la testa bassa, e quando mi passava davanti mi accorgevo che aveva in mano una fiaccola ricavata da un corno, come usava ai vecchi tempi, e io vedevo il corno alla luce della fiamma. Era del colore della luna e nel sogno sapevo che stava andando avanti per accendere un fuoco da qualche parte in mezzo a tutto quel buio e a quel freddo, e che quando ci sarei arrivato l’avrei trovato ad aspettarmi. E poi mi sono svegliato. Recentemente McCarthy è tornato in libreria in Italia con “Il Passeggero” (edito da Einaudi), primo titolo di una diade che prevede l’uscita di “Stella Maris” tra qualche mese. Non perdeteli. Se lo merita.

Riccardo Zucconi

Autore