Sarà anche un bel mestiere fare il gazzettiere, ma da adesso in poi bisognerà farlo senza l’Inpgi, l’istituto di previdenza privato dei giornalisti. L’Inpgi era sull’orlo del fallimento e finirà nell’Inps, la previdenza pubblica a partire dal primo luglio dell’anno prossimo. Ma in realtà ci è già finito perché si trova da subito sotto il controllo dell’Inps. Il consiglio di amministrazione dell’Inpgi non può prendere nessuna decisione autonomamente.
A pagarne le conseguenze saranno i colleghi che hanno ancora un bel po’ di anni di lavoro da fare prima della pensione perché i meccanismi della quiescenza con l’Inps sono molto meno remunerativi rispetto all’Inpgi. Da questa storia non esce bene nessuno. E in prima fila c’è l’Inpgi che da un quarto di secolo si è fatto depauperare, subendo in silenzio, da una quantità infinita di stati di crisi richiesti dagli editori e concessi dai vari governi dopo che la stessa politica aveva stabilito la possibilità di accedere all’aiuto pubblico anche solo in previsione di un mero calo della pubblicità. Gli stati di crisi consentivano e consentono tuttora di prepensionare giornalisti con ottimi stipendi le cui posizioni vanno a pesare sulle casse dell’Inpgi, sgravando quelle delle aziende che in pratica si ristrutturano a spese dell’istituto previdenziale dei dipendenti. L’Inpgi ci rimette moltissimo perché i pochi nuovi assunti incassano stipendi molto più bassi dei loro predecessori versando di conseguenza contributi di valore largamente inferiore.
Correva l’anno 1994 ed erano ancora tempi di vacche grasse, ma si avvertivano i primi scricchiolii di tempi brutti quando Il Mattino di Napoli e il Secolo XIX di Genova chiesero lo stato di crisi. Da allora è stata una valanga che continua tuttora. E va ricordato che in editoria come in altri settori si fa anche un largo uso della cassa integrazione che pesa sulle casse pubbliche. L’ultimo caso, strettissima attualità, è quello dell’Eco di Bergamo quotidiano di proprietà della curia arcivescovile (unico caso in Italia) dove azienda e comitato di redazione hanno raggiunto un accordo per la CIG al 14 per cento. Va detto che il giornale ha il bilancio in attivo, forte anche dell’enorme massa di soldi incassati con i necrologi in relazione al ruolo di capitale nazionale della pandemia.
La cassa integrazione durerà un anno, 7 mesi subito e altri 5 mesi nel 2023. L’interruzione serve per allungare i tempi fino a chiedere e ottenere l’ennesimo stato di crisi con cui si prevede di pensionare un’altra decina di giornalisti, un quinto dell’intero organico. L’editore da un lato guadagna risparmiando a spese di tutti, ma dall’altro spende soldi dando in appalto all’Ansa la confezione delle pagine di interni e esteri finora fatti dalla redazione. Tutto va bene madama la marchesa. Il sindacato tace come del resto sugli stati di crisi in tutta Italia. Nonostante il presidente dell’Associazione Lombarda dei giornalisti sia un dipendente dell’Eco, Paolo Perucchini.
