Così Mussolini ingannò i liberali: seducendo la Regina e facendo finta di trattare

Alla minaccia di insurrezione credono in pochissimi, ma il ministro della Guerra Soleri non vuole comunque farsi trovare impreparato se i fascisti decidessero davvero di marciare su Roma: il 19 ottobre convoca il generale Emanuele Pugliese. Ebreo, nazionalista, monarchico, pluridecorato, Pugliese è uomo d’azione. In guerra è passato in 26 mesi da capitano a generale guadagnandosi il grado sul campo: ferito tre volte, inclusa una ferita multipla al viso subìta durante l’attacco a una trincea.

Sulla fedeltà di Pugliese il ministro non nutre dubbi e il generale, a sua volta, è pronto a mettere la mano sul fuoco per quanto riguarda quella delle truppe. Che l’esercito simpatizzi per i fascisti è un fatto, e del resto non ci sono dichiarazioni o comizi senza che i capi fascisti esaltino l’esercito. Ma se si dovesse arrivare allo scontro armato Pugliese garantisce che ufficiali e soldati non esiterebbero. Soleri chiede ragguagli sulla situazione militare. Roma non è una delle città del Nord conquistate d’impeto dagli squadristi. Oltre alle Guardie regie, ai Carabinieri e alle Guardie di finanza ci sono 28.400 soldati ben armati più 7500 reclute. Sono di stanza a Roma i battaglioni di alpini, fedelissimi alla monarchia. In caso di scontro armato non ci sarebbero dubbi su una rovinosa sconfitta dei fascisti. Il problema però è che per il re, per Facta e dunque anche per il ministro lo scontro armato va evitato a tutti i costi.

Vittorio Emanuele minaccia addirittura di abdicare ove si arrivasse al bagno di sangue. Proprio per mettere a punto un piano per difendere Roma senza una battaglia Soleri ha convocato Pugliese. Sul che fare il generale ha le idee chiare: bisogna impedire che gli squadristi arrivino a Roma e per questo vanno bloccate, oltre alle strade, soprattutto le linee ferroviarie, essendo i treni il mezzo principale che gli squadristi adopereranno per raggiungere Roma. Pugliese indica le tre stazioni nevralgiche vicino Roma da chiudere per bloccare eventuali insorti: Sezze Romano a sud, Orte e Civitavecchia a nord. Anche i fascisti, nelle stesse ore, mettono a punto il loro piano di battaglia. Il 19 ottobre i tre capi della Milizia e il vicesegretario Teruzzi si incontrano a Bordighera.

Quando partirà l’insurrezione il comando, almeno formalmente, passerà nelle loro mani mentre Mussolini, a Milano, si occuperà di proseguire la trattativa. Sede del comando sarà Perugia mentre a Foligno si raduneranno le forze di riserva, guidate dal generale Zamboni. Il piano prevede il concentramento di tre diverse colonne fasciste a Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli, da dove dovrebbero convergere su Roma. Già che si trovano a Bordighera, i monarchici De Bono e De Vecchi si recano in visita dalla regina madre, che sanno essere simpatizzante del fascismo. Li introduce il conte Belgioso, che De Bono definisce “un fascistone”. La regina però è anche più estrema: «L’augusta Donna è più fascista di noi! Ci ha trattenuto tre quarti d’ora interessandosi profondamente al nostro movimento e mostrandosi entusiasta dei nostri regolamenti». Al momento del congedo i due capi della Milizia si rivolgono alla regina Margherita definendola “la stella del nostro mattino”. La moglie di Umberto I gradisce e restituisce la cortesia: «Io sono sempre per le cose grandi e buone». Tra la regina e il duca d’Aosta il fascismo dispone di entrature potenti a palazzo.

Il giorno dopo i tre comandanti si spostano a Firenze dove, con Michele Bianchi, sono chiamati a rapporto tutti i comandanti delle legioni. Bisogna organizzare l’adunata del 24 a Napoli ma soprattutto l’insurrezione. Il progetto prevede prima di tutto l’occupazione degli edifici pubblici nelle principali città, poi il concentramento intorno a Roma, nei tre centri già stabiliti più Perugia e Volturno. L’obiettivo è entrare a Roma e occupare “a ogni costo” i ministeri. Se respinti, comunque, i fascisti dovrebbero riunirsi in Umbria, protetti dalle riserve ammassate a Foligno, e costituire un governo con sede nella Val Padana. Ma mentre le squadre si preparano all’insurrezione, senza che una data precisa sia ancora stata definita, Mussolini e Bianchi continuano a trattare e i politici di lungo corso e decennale esperienza, i “volponi”, cadono tutti nella trappola. Michele Bianchi riassumerà così le cose, a marcia consumata: «Mentre si organizzavano le squadre fasciste si conducevano diplomaticamente le trattative con i fiduciari di Giolitti. Ci furono molti colloqui a Milano col prefetto Lusignoli e a Roma con l’onorevole Camillo Corradini. Egli riservava, bontà sua, a Benito Mussolini il posto di ministro senza portafoglio! Io pensavo alla marcia su Roma che Mussolini preparava e tiravo le cose in lungo senza arrivare volutamente a combinazioni di sorta».

Ci cade Giolitti, il più astuto, e ci cade anche Nitti, che punta sulla spaccatura del fascismo: «Noi dobbiamo utilizzare tutte le forze per accogliere del fascismo la forza ideale che è stata la causa del suo sviluppo. Dobbiamo utilizzarlo incanalandolo nelle forme legalitarie delle nostre istituzioni. Ogni ritardo può essere dannoso». Balbo affida il giudizio su questo discorso al suo Diario: «Pure Nitti ha virato di bordo col suo ultimo discorso. Anche se il vecchio filibustiere ha poco da sperare dal fascismo. Ovvero, sì, può sperare in un buon tratto di corda intorno al collo». Se i liberali non capiscono niente di quel che sta succedendo, i comunisti sono altrettanto accecati: un po’ dalla logica del “tanto peggio, tanto meglio” e un po’, anzi molto, dallo scontro violentissimo e dottrinario contro la sinistra riformista. «È necessario che la borghesia diventi vieppiù reazionaria, chiarendo così al proletariato la sua vera vocazione», scrive Gramsci sull’Ordine nuovo. Sullo stesso giornale Togliatti è anche più definitivo. Parla di un “tiranno bieco con un solo aspetto e un triplice nome. Si chiamerà Turati, don Sturzo e Mussolini”.

In una situazione come questa la sola possibilità di fermare il fascismo è nelle mani dell’esercito, che peraltro non è affatto antifascista, e dunque del re, al quale comunque l’esercito obbedirebbe. Nel governo ci sono ministri come Soleri e come il ministro degli Interni Paolino Taddei pronti a stroncare l’insurrezione. Taddei fa proprio il progetto del generale Pugliese. Convoca un vertice con lo stesso generale, il capo della polizia Graziosi e il vicedirettore generale delle Ferrovie Alberti. Organizza il blocco degli snodi ferroviari che dovrebbero portare gli squadristi a Roma. Invia una circolare ai prefetti ordinando di tenersi pronti, se dovesse cominciare l’insurrezione, “a occupare le Case del Fascio e arrestare i capi fascisti con qualunque mezzo”. Ma è una reazione al colpo di mano di Mussolini che può scattare solo con l’accordo del Sovrano.