Nessuna riabilitazione per Bettino Craxi. A vent’anni dalla sua morte in Tunisia, questa considerazione continua ad affollare i miei pensieri. Eliminata brutalmente la prima Repubblica per via giudiziaria selettiva, abbattuta la cosiddetta Seconda con la demonizzazione del Cavaliere Nero Silvio Berlusconi, anche lui colpito da una sentenza con effetti retroattivi, e coadiuvata da buone dosi di veleno marchio Bruxelles, eccoci alle comiche finali verrebbe da dire. Intendiamoci, fa piacere sentire dei ripensamenti e delle ammissioni masticate a mezza bocca da personaggi insospettabili di simpatie socialiste. E possiamo quasi intenerirci a sentire quanto dichiarava Renzi a Tg 2 Dossier l’altra sera, con accenni che sembravano dipingerlo come il prossimo agnello sacrificale. Ma se una riabilitazione deve esserci, e ci sarà, non saranno solo i libri di storia a farne una lettura vigorosa e contemporanea, così come forte, decisionista e a largo spettro è stata la politica del segretario e poi unico presidente del Consiglio socialista.
Basti ricordare la sua straordinaria visione della politica mediterranea e internazionale, oggi spesso evocata e rimpianta da un Paese come il nostro alle prese con il groviglio del caos libico. Ma la lista è molto più lunga, e ci arrivano a sprazzi, rompendo la censura dell’oblio, ricordi di un’epoca ormai lontana, di un Italia in pieno boom economico, ma alle prese con grandi contraddizioni.
A cominciare dalla sfida al sistema del terrorismo degli anni ‘70 che per un decennio ha insanguinato le cronache con le atroci morti di magistrati, docenti e sindacalisti e che con il rapimento di Aldo Moro sembrava aver raggiunto limiti invalicabili.
A questa sfida Craxi dette un eccezionale contributo, prima evitando la presentazione di leggi emergenziali e in seguito adoperandosi, in splendida solitudine, con l’adesione tardiva di Fanfani, per salvare la vita dello statista democristiano. Che venne sacrificata all’altare della politica della fermezza, capitanata da certa stampa assetata di sangue dal Pci e da una Dc mesmerizzata. Senza mai una autocritica a posteriori. Si continua con gli euromissili installati a Comiso, che provocarono enormi manifestazioni di dissenso, probabilmente anche finanziate da fondi sovietici dove il bersaglio era Craxi boia, e che per settimane riempirono le piazze da nord a sud.
La vicenda di Sigonella è forse la più nota, e risvegliò in Parlamento e fuori un grande sentimento di dignità nazionale lasciando forse aperta la porta a vendicazioni postume. Ma anche la sua opposizione alla svendita della Sme e la sua contrarietà alla privatizzazione selvaggia del patrimonio industriale pubblico gli fecero schiere di nemici eccellenti. Ma Craxi non venne mai sconfitto politicamente, e avvicinandosi alla fine della sua parabola pubblica si manifestò soprattutto una avversione da parte degli stessi gruppi, giornali ed élite per comodità di lessico che pochi anni dopo si coagularono in identiche formazioni contro Silvio Berlusconi, reo di aver impedito la vittoria di Occhetto.
Craxi, come arcinoto, divenne il capro espiatorio di una sarabanda mediatico-giudiziaria, gli venne applicato il teorema “non poteva non sapere”, venne accusato di aver ricevuto fondi irregolari e soprattutto non più amnistiati come in precedenza per il Psi, e divenne il fulcro di una impressionante campagna demonizzatrice che travolse verità e giustizia. Fu costretto dal precipitare di questa violenta e falsa rivoluzione moralista a recarsi in Tunisia dove venne accolto e protetto con rispetto e grande cura. Non venne mai abbandonato dal suo popolo, diversamente da troppi dirigenti del suo partito, che continuarono ad andare a trovarlo ad Hammamet. Nei lunghi dolorosi anni dell’esilio, ricordo innumerevoli delegazioni di socialisti, moltissime provenienti dal Sud.
La sua tomba, nella parte cristiana del cimitero tunisino, ogni anno viene visitata da migliaia di persone, che lo ricordano uomo libero morto da uomo libero.
