“C’era una volta… un re, diranno subito i miei piccoli lettori”. Eh no, cari ragazzi del nuovo millennio, stavolta non si tratta del ciocco di legno che ben intagliato diventò Pinocchio simbolo della bugia col naso lungo, ma di un oggetto più fiabesco e meraviglioso: la politica. La politica era sempre ideologica (cioè partiva da postulati e pregiudizi chiamati ideali) e sempre duellante secondo copioni codificati. Chi è nato dopo gli anni Settanta non può ricordarne quasi nulla, ma chi ha un’anzianità anagrafica di lungo corso, è ancora in grado di riascoltare nelle emozioni le gioie e dolori di quel tempo antico in cui due mostri, nel senso di creature uniche, si davano battaglia occupando quasi tutta la scena: Craxi e Berlinguer. Nei primi anni, il segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, segretario del Partito socialista, si sfidavano manovrando di fronte all’armata del popolo di mezzo, ovvero della Democrazia Cristiana, che però aveva perduto i suoi due mitici “cavalli di razza”: Amintore Fanfani, scivolato nell’oblio dopo aver perso la battaglia contro il divorzio, e Aldo Moro, rapito, interrogato e assassinato da quell’entità tuttora misteriosa  che furono le Brigate Rosse, un po’ “boy-scout della rivoluzione” (secondo la benevolentissima definizione del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga) e un bel po’ gruppo armato per impedire il compromesso storico, inventato da Enrico Berlinguer dopo il colpo di Stato in Cile per chiudere la partita della guerra fredda interna, fare pace con  la Dc e passare armi e bagagli nel mondo occidentale, di cui aveva già accettato la Nato. Berlinguer voleva chiudere con l’Unione Sovietica, sostituendo il mito della Rivoluzione d’Ottobre – ormai privo della sua “spinta propulsiva” – con una ideologia fondata sulla “questione morale” in cui sostanzialmente i comunisti si presentavano come gli ariani del bene e gli altri dovevano dimostrare di essere alla loro altezza.
Finito nel sangue di Aldo Moro l’esperimento del “compromesso storico”  (Berlinguer aveva subìto un attentato in Bulgaria da cui si salvò per un pelo, e quando morì di ictus in casa sua molti sospettarono un attentato) cominciò un periodo di scossoni e accuse fra il segretario comunista e Bettino Craxi, campione di un socialismo anti-comunista e antisovietico in modo esplicito: eliminò come primo atto la falce e il martello dai simboli socialisti sostituendoli con quelli originari: un libro aperto e il Sol dell’avvenire. Poi rammodernò burocrazia e stile di vita a sinistra in modo molto pop e provocatorio e quando venne il momento della tragedia della nave Achille Lauro e dei terroristi che l’avevano dirottata sfidò a braccio di ferro gli Stati Uniti di Ronald Reagan e fece schierare i carabinieri armati contro i militari americani nella base di Sigonella, diventando così l’incontestato eroe di una guerra d’indipendenza contro gli americani, cosa che probabilmente gli costò la testa. La “guerra fredda” era a quei tempi una guerra molto febbrile, mieteva forse meno vittime di una guerra armata, ma sacrificava senza pietà sui giornali e nelle coscienze il rispetto della verità, situazione che fu riconosciuta e sdoganata con l’augusto nome delle diverse “linee editoriali”, consacrate nei palinsesti della Rai: uno a me, uno a te, un frammento anche alla verità. Ma con giudizio. Era un teatro in cui erano in piedi gli ideali, i miti, i riti della politica del Novecento mentre si faceva strada la novità di considerare l’onestà amministrativa una ideologia con cui rimpiazzare i presupposti ideologici del passato. Fra i sacri miti e riti, c’era quello della “scala mobile” (che era un sistema di adeguamento automatico degli stipendi all’inflazione), difesa a spada tratta dal segretario del Pci Enrico Berlinguer come strumento di riequilibrio della giustizia sociale che pareggiava le diseguaglianze facendo lievitare l’inflazione che allora viaggiava a due cifre, tanto che la gente si batteva moneta da sola inventandosi dei miniassegni.

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A Berlino era ancora in piedi il Muro e la moneta forte era il Marco della Repubblica federale tedesca, capitale Bonn. A quella ideologia si oppose Bettino Craxi che sfidò Berlinguer con un decreto che ridimensionava la scala mobile e poi accettando un referendum in cui si chiedeva agli italiani: volete l’adeguamento automatico del vostro salario con la scala mobile che tutto pareggia, oppure preferite uno spiffero di libertà e di rischio? Vinse Craxi (ma a quel punto Berlinguer era già morto): gli italiani scelsero il rischio e un po’ di diseguaglianza. Fu un momento di rottura molto deciso per un Paese ingessato nella sclerosi dei partiti. Oggi sembra impensabile, ma a quell’epoca c’erano le Regioni rosse (Umbria Toscana Emilia) che votavano rosso, le Regioni bianche (Lombardia e Triveneto) che votavano bianco democristiano e un Sud squacquaracquato che votava come capitava e secondo convenienza. Uno degli attori di seconda linea, aspiranti alla prima, c’era: La Repubblica creata genialmente da Eugenio Scalfari, che era un giornale e un partito, una lobby di pensiero e di pressione. Scalfari sognava di guidare lui il Pci di Berlinguer, il quale resisteva all’abbraccio. Ma Scalfari giocava a sua volta un duello mortale con Bettino Craxi di cui era nemicissimo, su un terreno di duelli all’arma bianca che era cominciato nel parlamentino universitario dell’Orur (negli anni cinquanta) dove c’erano Achille Occhetto, Marco Pannella, lo stesso Scalfari e tanti altri e dove furono messe le basi per odi inconciliabili e amori sfrenati.

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C’erano poi in vesti settecentesche i pensatori isolati e aristocratici del Partito repubblicano come Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini, e i socialisti anti-craxiani che tentarono di rimuoverlo dalla segreteria del partito e dal governo, quando arrivò al governo, puntando su Antonio Giolitti, figlio dell’antico primo ministro Giovanni Giolitti e che era stato uno degli allievi di Palmiro Togliatti, uscito dal Pci per “i fatti d’Ungheria”, cioè la brutale repressione sovietica con i carri armati della rivolta studentesca e operaia di Budapest del 1956 fortemente voluta proprio da Togliatti e Mao Zedong, che Nikita Krusciov, successore di Stalin aveva tentato di evitare. La politica era ancora un campo di battaglia che riverberava sangue, bombe – quelle del terrorismo a cominciare da quella di piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 – e guerra mondiale imminente. Sullo scontro fra grandi potenze, il Pci di Berlinguer non seppe evitare di stare dalla parte sovietica opponendosi allo schieramento in Sicilia di missili di medio raggio dopo che l’Urss aveva improvvisamente schierato i suoi SS-20 sui Balcani minacciando il cuore dell’Europa. Lì avvenne un’altra battaglia divisiva che oggi stenteremmo a capire: Spadolini, ministro repubblicano atlantista, e Craxi si schierarono a favore di una risposta ai missili sovietici e tutte le sinistre si opposero, perdendo ma lasciando sul campo lacerazioni sempre più profonde.

Come oggi sappiamo dalle carte desecretate dal Dipartimento di Stato, americani e Nato facevano il tifo affinché il Pci di Berlinguer passasse in campo occidentale e assumesse il comando in Italia, ma dopo aver rescisso tutti i suoi legami sovietici. Americani e inglesi ne avevano abbastanza sia dei bizantinismi di Andreotti che seguiva una sua politica filoaraba e anche filosovietica e dello stesso Craxi che aveva dato prova di troppo autonomia. Per questo fu preparato un grande dossier americano cui partecipò l’attuale avvocato di Donald Trump, Rudolph Giuliani, allora procuratore generale e in parte anche nostri procuratori come Giovanni Falcone. Quel dossier fu chiamato “Clean Hands”, mani pulite, e avrebbe dovuto essere gettato sul terreno della lotta politica in Italia prima che cadesse il muro di Berlino e la stessa Unione Sovietica. (Ma di questa storia, molto interessante, ne riparliamo in un altro articolo, la settimana prossima). Le cose andarono diversamente, come sappiamo, ma il teatro di lotta e di scontro di quelle guerre d’allora aveva scene ricche e mobili sulle quali i grandi samurai ideologici si battevano con spade affilate, seguiti da un’Italia ancora organizzata in grandi chiese ideologiche, che comprendevano anche quella cattolica in crescente dialogo con quella comunista. La fine degli anni Ottanta e la fine dell’Urss sconvolsero la scena con la violenza di una bomba atomica e tutto cambiò per sempre senza più trovare uno o più punti di stabilità.

Paolo Guzzanti

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