Il “bazooka” Mario Draghi lo ha già usato una volta, nel 2012, per salvare l’euro e tenere in piedi l’economia del Continente. Oggi lo invoca nuovamente, ma in un contesto diverso: l’innovazione tecnologica e digitale. L’ex presidente della BCE ha proposto a Bruxelles un piano di investimenti da 800 miliardi di euro per evitare che l’Europa resti indietro nella corsa globale all’intelligenza artificiale, ai big data e al cloud. L’Unione Europea, questa volta, non vuole limitarsi a osservare e spinge per una strategia autonoma che lasci ai governi nazionali margine per agire, finanziare e, soprattutto, costruire.
In questo quadro, uno degli obiettivi principali è lo sviluppo dei Data Center, infrastrutture cruciali per supportare qualsiasi tipo di servizio digitale: centri fisici che ospitano server, sistemi di stoccaggio, dispositivi di rete, e che devono garantire alimentazione costante, sicurezza, raffreddamento e continuità operativa. Senza una rete solida di Data Center, la trasformazione digitale rimane una promessa incompiuta.
Negli ultimi anni, anche l’Italia ha aumentato il numero di Data Center presenti sul territorio. Tuttavia, la distribuzione resta fortemente sbilanciata: la quasi totalità delle strutture è concentrata nella provincia di Milano. Questo squilibrio non solo limita lo sviluppo tecnologico nel resto del Paese, ma amplifica anche il divario economico tra Nord e Sud.
Una risposta a questa situazione è in fase di discussione in Parlamento. In Commissione Trasporti è infatti in esame una proposta di legge per l’organizzazione, il potenziamento e lo sviluppo dei centri di elaborazione dati. Il testo intende dare un impulso decisivo alla digitalizzazione dell’Italia, puntando soprattutto sulla razionalizzazione e sulla semplificazione burocratica. Come ha sottolineato la deputata di Azione Giulia Pastorella, si tratta di “infrastrutture essenziali, per le quali serve un codice ateco ad hoc e un iter chiaro e rapido per l’installazione, oltre a un piano per potenziare la capacità di stoccaggio e calcolo. Solo così si potrà davvero facilitare l’adozione dell’intelligenza artificiale nel nostro Paese”.
I numeri parlano chiaro: secondo l’Osservatorio Data Center del Politecnico di Milano, nel 2025 saranno attive in Italia 234 strutture per una potenza energetica compresa tra 590 e 825 MW. Gli operatori del settore sono cresciuti da 66 nel 2023 a 74 nel 2025. Un’ulteriore espansione dei Data Center porterebbe non solo benefici tecnologici, ma anche urbanistici: si potrebbero infatti riqualificare decine di migliaia di metri quadri di aree in disuso, contribuendo al rilancio di molte zone depresse del Paese.
Il momento è propizio: l’Italia può ridurre la propria dipendenza dalle infrastrutture digitali estere, colmare il divario territoriale interno e acquisire una nuova forma di sovranità tecnologica. Ma per farlo servono visione, coordinamento e regole chiare. Non è un caso che questa discussione si intrecci con l’iter legislativo del DDL sull’intelligenza artificiale, approvato alcune settimane fa dalla Camera dei Deputati. Il disegno di legge, che rappresenta la prima proposta legislativa in Europa tesa ad adottare le disposizioni dell’AI Act, mira a regolare l’uso e lo sviluppo dell’AI in Italia. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale sviluppare una rete di Data Center efficiente e capillare. Perché senza un’infrastruttura adeguata, ogni politica sull’intelligenza artificiale rischia di rimanere sulla carta.
