Il discorso del presidente della Repubblica è stato deludente. Non solo perché costruito quasi esclusivamente sulla retorica, e su un vago appello alla fiducia, alla speranza. (È giusto, si capisce, chiamare il popolo alla fiducia: ma se resta un grido, vale niente).
È stato deludente per un’altra ragione. Perché non ha indicato i problemi fondamentali di fronte ai quali si trova l’Italia, né tantomeno ha segnalato le vie per superarli.
Ho visto che Stefano Folli, su Repubblica, fa un ragionamento opposto. Dice: ottimo discorso perché si è rivolto direttamente agli italiani senza impicciarsi nelle dispute politiche. Non sono d’accordo, non credo che il presidente della Repubblica debba rinunciare a occuparsi di politica, o essere una specie di via di mezzo tra il parroco e il diplomatico. Credo che debba guidare il Paese e garantire la saldezza politica quando questa vacilla. Oggi vacilla. Non mi pare che Mattarella lo abbia fatto, con questo discorso.
Quali sono i problemi politici fondamentali di fronte all’Italia? Diciamo tre, che sono di sicuro i più evidenti. Il primo è la stagnazione produttiva. Il secondo è l’aumento delle diseguaglianze, e quindi della povertà. Il terzo problema è la giustizia, che negli ultimi anni ha subìto dei colpi durissimi, travolta dal populismo dilagante, dalla codardia della politica e dall’arroganza del partito dei Pm, che forse è minoritario in magistratura ma accumula sempre più potere.
Mattarella ha sfiorato i primi due problemi, enunciandoli, ma quasi per dovere. Senza neppure provare a entrare nel merito delle questioni, e a indicare delle vie per superarli, o almeno dei principi da tenere saldi. Il terzo problema lo ha totalmente ignorato. Sebbene il suo discorso sia stato pronunciato appena tre ore e mezza prima dell’entrata in vigore della norma che cancella la prescrizione (dopo il primo grado di giudizio), sancisce il processo perpetuo e sferra un colpo micidiale allo Stato di diritto, facendo strame dell’articolo 111 della Costituzione.
Sergio Mattarella è un uomo politico molto esperto, colto, e una persona che conosce perfettamente la struttura della giustizia, i suoi principi, e i suoi problemi. Soprattutto, è il presidente del Consiglio superiore della magistratura, e dunque è il capo della magistratura. È uno degli ultimi prodotti di qualità di quel partito, la Democrazia Cristiana, che ha contribuito in modo decisivo a ricostruire la democrazia nel nostro Paese e poi è stata rasa al suolo (insieme al partito socialista) da una iniziativa della magistratura. È impossibile che non si renda conto della drammaticità della situazione italiana, descritta molto bene qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, dal professor Angelo Panebianco.
Siamo in presenza di un’offensiva formidabile del partito dei Pm, che è il più originale, piccolo, potente e sovversivo partito che sia mai apparso in Italia dai giorni della Liberazione in poi. È un partito che fonda la sua forza su due elementi: il controllo su quasi tutto il sistema della stampa e dell’informazione; la neutralizzazione di quasi tutte le possibilità di opposizione nel mondo politico. Il partito dei Pm non rappresenta la magistratura, ne rappresenta una scheggia, e tuttavia non trova nessun freno – tranne pochissimi casi isolati – all’interno della magistratura.
Perciò dilaga. Ha un disegno molto chiaro, e questo disegno è sostenuto da una parte consistente dell’intellettualità, delle classi dirigenti, dei partiti politici, e naturalmente del sistema dell’informazione: quello di modificare le tradizionali regole della democrazia, di annullare la distinzione e la pariteticità dei poteri, affermando una struttura dello Stato dove uno dei poteri, e cioè quello giudiziario, è sovraordinato e dominante rispetto a tutti gli altri.
E dove la struttura stessa della giustizia viene modificata, indebolendo i principi essenziali del diritto e assegnando un compito salvifico al sospetto e alla missione etica. Talvolta questo progetto e questi principi sono espressi in modo esplicito. Come quando Davigo dice che i presunti innocenti sono solo colpevoli che l’hanno fatta franca, o quando Gratteri dichiara di voler smontare la Calabria come un treno Lego. Talvolta sono sottintesi. E comunque sostenuti da una campagna molto forte di opinione pubblica che adopera la parte più importante e più rumorosa delle televisioni, dei giornali, dei social.
Il presidente della Repubblica può restare puro osservatore? Ignorare il rischio eversivo? Fingere di non sentire l’appello dei penalisti, che forse sono l’unica forza organizzata che si oppone al bonafedismo e al travaglismo?
Escludo che il presidente Mattarella non si renda conto del pericolo che corre l’Italia. E del modo sghimbescio e sciagurato con il quale rischiamo di entrare in una modernità molto oscura (del resto il problema dello strapotere giudiziario riguarda anche altri Paesi dell’Occidente, a partire dagli Stati Uniti e da Israele). E allora? Mattarella, forse da buon democristiano, crede nei passi brevi, nel lavoro invisibile, nella mediazione, nella prudenza. Come il governatore Ferrer dei Promessi Sposi, quando, col più curioso degli ossimori, esorta il cocchiere: «Adelante, Pedro, con juicio». Spicciati ma vai piano. Sarà la strategia giusta? Ne dubito.
