“Il mio errore, se mai ce ne fosse stato uno, è stato quello di essere sempre in prima linea”, afferma Bruno Contrada, 92 anni, ex capo della squadra mobile della questura del capoluogo siciliano. Condannato in via definitiva nel 2007 a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, quasi tutti scontati in regime detentivo, nel 2015 la Cedu ha annullato la sentenza ritenendo il reato frutto di una interpretazione giurisprudenziale. Contrada, in particolare, era accusato di avere avuto rapporti con i mandanti ed esecutori della strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992.
Dottor Contrada, ha letto la sentenza sul depistaggio per le indagini sulla morte di Borsellino?
No. ho letto solo qualche articolo.
I giudici di Caltanissetta hanno scritto che lei era “il diversivo giusto” dopo essere caduto in disgrazia per le confidenze rivelate da Gaspare Mutolo a Borsellino circa una sua contiguità con l’organizzazione mafiosa, da collocare immediatamente sulla scena del crimine subito dopo l’esplosione.
Io sono stato trascinato mio malgrado in questa vicenda.
La Cassazione il prossimo giugno si dovrà esprimere per l’ingiusta detenzione che ha patito.
È la terza volta che la Cassazione torna su questa storia, contraddistinta da innumerevoli cavilli giuridici. Spero di finirla, non voglio più avere a che fare con le aule di giustizia.
I magistrati si sono accaniti nei suoi confronti?
Bisognerebbe chiederlo a loro.
Lei avrà una risposta…
E la tengo per me. Però voglio dirle una cosa.
Prego.
Durante il processo a mio carico, 142 testimoni, fra cui cinque capi della Polizia, una ventina fra prefetti e questori, 4 alti generali dei carabinieri, hanno testimoniato a mio favore. Per i magistrati si è trattato di testimonianze inattendibili e non utilizzabili perché inquinate dai pregressi rapporti professionali avuti con me. La procura chiese per alcuni anche la trasmissione degli atti per una eventuale azione penale per falsa testimonianza. Chi avrei dovuto chiamare per testimoniare sulla correttezza del mio operato? Il fruttivendolo sotto casa?
Lei, però, non ha mai mollato.
Nonostante tutto resto sempre un servitore dello Stato.
Venne arrestato alla vigilia di Natale del 1992.
Sono 30 anni che conduco una battaglia impari. Sono andato anche alla Corte di Strasburgo. Quanto indicato sulla copertina del fascicolo mi metteva paura: “Contrada contro Italia”.
Come ci sente ad affrontare una vicenda giudiziaria di questo genere?
È di una complessità tale che è difficile capire anche da dove cominciare. Ci sono storie assurde. I magistrati mi hanno accusato di ogni nefandezza. Oggi, comunque, nessun sarebbe in grado comprendere cosa è successo. Chi ha tempo per consultare migliaia di pagine di atti che coprono decenni di storia del Paese? A chi interessa la storia di un modesto funzionario di polizia ? Quante cose sono successe in trenta anni?
Hanno scritto che era un agente segreto.
Ma quale agente segreto. Io ero solo aggregato al Sisde. Per anni avevo fatto attività sotto il piano operativo, alla fine della carriera mi dedicai a quelli informativi.
Quando entrò in polizia?
Nel 1958. Ho avuto dieci promozioni e valutazioni professionali sempre oltre il massimo. Sono stato anche capo di gabinetto dell’Alto commissario per lotta alla mafia.
Non ho fatto come molti che hanno fatto carriera stando al caldo al Ministero dell’Interno. Io sono sempre stato in prima linea.
