Costretto ancora a gridare la propria innocenza, a 91 anni e a trenta dal proprio arresto, di nuovo in un’aula giudiziaria, Bruno Contrada si arrabbia e sventola con piglio la carta che ne certifica il suo stato di incensurato. Quasi in faccia a un procuratore che cerca di metterlo di nuovo sul banco degli imputati. Come se, dopo trent’anni, il processo per concorso esterno in associazione mafiosa dovesse cominciare da capo. Siamo a Palermo, ancora e ancora.

In corte d’appello, dove colui che fu il poliziotto più brillante della città, ammazzato e messo in manette dall’invidia prima ancora che da una strampalata inchiesta giudiziaria, è di nuovo a chiedere quel che gli è dovuto. Il risarcimento per l’ingiusta detenzione, dopo che ormai sette anni fa la Corte Europea per i diritti dell’uomo aveva condannato lo Stato italiano per aver arrestato, tenuto in galera, processato e condannato ingiustamente questo suo fedele servitore. E ora siamo qui, dopo i vari rimbalzi tra appelli e cassazioni, con un risarcimento per ingiusta detenzione già fissato in 667.000 euro, ma poi annullato e poi ancora deliberato. In queste aule che furono il feudo di Roberto Scarpinato, che non si è arreso dopo aver perso clamorosamente il “processo trattativa”, tanto che ci ha scritto sopra un libro e poi ha anche portato in Senato il disappunto per la sua sconfitta professionale. Un triste modo di andare in pensione, comunque.

Il pg che fa saltare per aria l’indignazione di Bruno Contrada si chiama Carlo Marzella. La sua posizione, e quella della Procura generale nei confronti dell’ex numero uno della squadra mobile è considerata “ovvia” dall’avvocato Stefano Giordano: “…d’altra parte, da quando c’era Roberto Scarpinato, ha sempre perseguitato il dottor Contrada”. Non solo persecuzione però, perché ci vuole anche una certa cattiveria, una certa voglia di ferire anche la dignità di quest’uomo che è stato privato di tutto, a partire dalla libertà. Ce lo ricordiamo, solitario nel carcere militare, sorvegliato da venti uomini in divisa. E il processo non arrivava mai, e poi un po’ assolto un po’ condannato, sempre per l’evanescenza del concorso esterno, finché la Cedu non ha detto all’Italia “adesso basta”, restituite questa vittima alla sua vita.

Lui si è fatto sentire, nell’aula di Palermo. In faccia all’impassibile Marzella. “Ecco a lei il mio certificato penale, è nullo. Io sono stato assolto. Sono incensurato, come risulta dal certificato. Ha capito? Ha capito o no?”. Chissà se qualcuno in quell’aula è arrossito, davanti a questo novantenne un po’ malfermo sul suo bastone, che trova però la forza di alzarsi e andare a sventolare il simbolo della sua vita immacolata che qualcuno ha voluto macchiare. Non c’è in quest’aula l’ex pm Antonio Ingroia, che lo volle in ceppi la vigilia di Natale del 1992, dopo aver raccolto le vociferazioni di qualche “pentito” imbeccato male, perché raccontava di salette riservate di ristorante che non c’erano, di anfore mai trovate e amanti inesistenti. Ingroia che si era esibito in una requisitoria lunga ventidue udienze, e che anni dopo e in seguito a non brillanti carriere come politico e come avvocato, continuava a dire che Contrada era colpevole, se non di mafia, almeno di favoreggiamento. E ne stiamo parlando ancora trent’anni dopo?

La verità è che in quell’anno 1992, quello in cui la mafia alzò il tiro fino a uccidere Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, un po’ tutti avevano perso la testa a Palermo, e non solo a Palermo, visto che il Parlamento votò le leggi emergenziali le cui conseguenze negative subiamo ancora oggi. E l’arresto di un brillante investigatore in carriera come Contrada fu occasione di lotte furibonde e di faide all’interno del mondo delle divise e delle toghe. Il capo della mobile era sulle tracce del latitante Bernardo Provenzano, e dopo il suo arresto furono messi da parte tutti gli uomini che lavoravano in quella direzione. Tutto alle ortiche, meglio ascoltare le solite chiacchiere da ballatoio, riferite “de relato” di qualche collaboratore. “Intendo solo essere reintegrato nei miei diritti” ha detto a Palermo Bruno Contrada con dignità.

“Che io debba sentire un pg che ripete tutte le accuse che sono state cancellate non solo dalla Corte europea, per cui ero stato sottoposto a una pena disumana e degradante, mi fa ribollire il sangue. Contro di me è stato fatto un processo iniquo, ho ricevuto le infami accuse di criminali mafiosi, da me contrastati per anni. Io ho lottato per più di trent’anni contro criminali che mi hanno poi accusato”. Diamogli ancora la parola, prima di metterci in attesa della decisione della corte d’appello che arriverà tra un mese. “Ascoltando le parole del pg io dovrei stare seduto sulla panca destinata agli imputati”. Ma Bruno Contrada come sempre si è alzato in piedi.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.