“Mi rivolgerò al mio avvocato, Stefano Giordano, per agire in sede penale e civile contro i responsabili della trasmissione e dunque contro l’emittente La 7”. Il tono di Bruno Contrada, ex dirigente della Squadra Mobile di Palermo, poi passato al Sisde, è deciso: “Ancora una volta – sottolinea – sono stato diffamato e calunniato”. Riavvolgiamo il nastro. Sono circa le 23 di mercoledì. Su La 7, durante la trasmissione Atlantide, dedicata alla strage di Capaci, condotta da Andrea Purgatori, il giornalista Saverio Lodato rivela: “Chiesi a Giovanni Falcone chi fossero le ‘menti intelligentissime e raffinatissime’ che guidavano la mafia e a cui lui aveva fatto riferimento dopo il fallito attentato dell’Addaura (21 giugno 1989, ndr). Lo incalzai su quel nome e lui me lo fece. Era quello del dott. Bruno Contrada. Falcone mi disse  – continua Lodato – ‘se tu scrivi il nome di Bruno Contrada attribuendolo a me, con me non avrai più alcun tipo di rapporto’”. Per la prima volta, a distanza di 30 anni da quel fallito attentato ancora gravido di misteri, dietro le “menti raffinatissime” ci sarebbe un nome. Quello di Bruno Contrada. Già condannato in via definitiva nel 2007 a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma per i giudici della Corte Europea di Strasburgo, l’ex poliziotto non doveva essere condannato perché all’epoca dei fatti il reato non era ancora previsto dall’ordinamento giuridico italiana e dunque “non era sufficientemente chiaro”.

Dottore Contrada cos’ha provato quando ha sentito il suo nome accostato alle “menti raffinatissime”?
Lodato è stato spinto a dire il mio nome da Andrea Purgatori.

Ma Lodato ha riportato una confidenza che gli avrebbe fatto il giudice Falcone dopo il fallito attentato dell’Addaura.
Conoscendo la correttezza del dottore Falcone, non credo assolutamente che potesse fare una confidenza del genere al giornalista. E se mai l’avesse fatta posso capire la riservatezza di Lodato di non pubblicarla quando il giudice era ancora in vita ma dopo il 1992 l’avrebbe potuto fare. Perché non l’ha fatto? Poi quando si parla con un giornalista si può dire una cosa per distrazione, per confusione.

Sta dicendo che Giovanni Falcone potrebbe essersi sbagliato?
Non sto dicendo questo. Tutto nasce dall’equivoco che segue alla rogatoria in Svizzera di Oliviero Tognoli che riciclava il denaro sporco della mafia.

Quale equivoco?
Tognoli non ha mai fatto il mio nome. Falcone gli ha chiesto chi lo avrebbe aiutato a sfuggire al mandato di cattura e, in forma di domanda, gli ha fatto il mio nome. Tognoli ha sorriso, non disse sì. Durante la seconda rogatoria, quando Falcone e Ayala andarono in Svizzera e interrogarono nuovamente Tognoli, questo raccontò come andarono le cose. E cioè che fu suo fratello ad avvertirlo che in albergo sarebbe arrivata la polizia di Brescia ad arrestarlo.

 

Quindi lei non ha fatto alcuna soffiata a Tognoli?
Io non conoscevo Tognoli. Non sapevo neanche che fosse stato arrestato. Al tempo, non facevo più parte della polizia, ero capo gabinetto dell’Alto Commissario”.

Ma la giudice svizzera Carla Del Ponte, durante il processo per il fallito attentato all’Addaura, dichiarò al pm Luca Tescaroli che durante l’interrogatorio Tognoli “disse sì con la voce” alla domanda di Falcone “Bruno Contrada?”
“Vabbè. La verità è che Tognoli non dice il mio nome e non dice “sì”. Sorride soltanto. Questa faccenda che non aveva detto ‘Sì’ ma aveva fatto un sorriso, Falcone la riferì poi in due occasioni diverse: al dottore Francesco Di Maggio e all’allora colonnello Mario Mori durante un viaggio che avevano fatto insieme”.

Però il suo nome lo farebbe Falcone a Lodato: perché?
“Se è veramente così è possibile che il dottor Falcone sia stato tratto in inganno. Perché quando Tognoli parla di un funzionario di polizia che poi era andato in un’altra amministrazione dello Stato, intendeva riferirsi al suo amico e compagno di banco, Cosimo Di Paola. Quando Tognoli ha parlato col funzionario di polizia svizzero e gli ha detto che era stato informato del suo arresto da un poliziotto che lavorava a Palermo e che aveva fatto il concorso per giudice amministrativo a Bari, si è creato l’equivoco. Evidentemente al dottore Falcone era sfuggito che Tognoli fosse del 1951, così come Di Paola, mentre io sono del 1931. Fu tutto un errore, un equivoco. Falcone potrebbe avere pensato a me perché sapeva di un funzionario di polizia passato ad un’altra amministrazione dello Stato. Io lascio la polizia nel 1982 per andare al Sisde. Di Paola l’aveva lasciata per diventare giudice amministrativo. Falcone è stato messo sulla cattiva strada dal funzionario di polizia che aveva ricevuto le confidenze di Tognoli. Se fosse risultato qualcosa al mio carico, Falcone avrebbe agito penalmente e invece non hanno fatto niente perché dopo è stato chiarito tutto”.

Ma come mai Lodato, secondo lei, ha tirato fuori questa rivelazione?
Non esprimo giudizi perché non voglio passare dalla parte del torto

Ha lavorato a Palermo per tanti anni. Lei si è mai fatta un’idea su chi potrebbe esserci dietro le menti raffinatissime di cui parlava Falcone?
Onestamente non lo so. Sicuramente chi ha architettato l’attentato dell’Addaura, mente raffinatissima non lo era, considerando com’è andata.

Sabato ricorrerà il 28° anniversario della strage di Capaci: qual è il miglior modo per ricordare il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta?
Dire la verità, senza fare teoremi, inventare storie su presunte colpe di uomini dello Stato. Ci sono stati processi lunghi, articolati, pentiti che hanno parlato, condannati”.

Quindi, secondo lei, la strage di Capaci è stata solo mafia?
“Non intendo entrare in questo argomento. Parlo solo delle indagini che ho fatto io. Io non vestivo i pupi”.