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Scarantino: ecco la vera trattativa Stato-Mafia

Sapete chi è il pentito Vincenzo Scarantino? Dopo Buscetta è uno dei pentiti più famosi d’Italia, quello che denunciò tutti gli autori della strage nella quale fu ucciso Paolo Borsellino e li fece arrestare. E così il caso Borsellino fu chiuso in fretta. Però, mentre Buscetta disse ai magistrati molte cose vere, Scarantino non fece la stessa cosa: parecchi anni dopo la chiusura dei processi si scoprì che le sue dichiarazioni erano false, che lui non era neanche un mafioso, che non sapeva niente della strage e che con quelle clamorose dichiarazioni, alle quali i magistrati credettero, aveva fatto condannare delle persone non colpevoli e aveva permesso ai colpevoli di farla franca.
Nel frattempo erano passati tanti di quegli anni che ogni indagine ormai era diventata impossibile. E quindi non sapremo mai perché fu ucciso Borsellino. E invece dietro l’uccisione di Borsellino c’è un mondo di misteri e di grandi interessi economici minacciati, e di depistaggi e di collusioni tra Stato e mafia. Avete presente quella che viene definita la trattativa Stato-Mafia e che ha dato il via a molti processi, uno ancora in corso, in fase di appello? Beh, molto probabilmente quella trattativa non ci fu mai e anche la tesi della trattativa Stato mafia, alla fine, ha avuto la funzione di deviare l’attenzione della pubblica opinione e di nascondere le questioni vere: perché fu ucciso Borsellino? Da chi? A quale scopo?
Cerchiamo di capire qualcosa. La novità è che ora si scopre che Scarantino alla vigilia della sua deposizione falsa aveva deciso di tirarsi fuori dalla manovra e di ammettere che non sapeva niente.
Come lo si scopre? Parlano le intercettazioni che stanno venendo fuori al processo contro tre funzionari di polizia in corso a Palermo (mentre a Caltanissetta si svolge una indagine parallela nella quale sono indagati due magistrati). Scarantino telefonò spesso a diversi poliziotti e magistrati, in quei giorni. Si tratta di capire quali di questi funzionari dello stato si limitarono a dar credito senza riscontri a un pentito veramente improbabile (e quindi difettarono solo in capacità professionali) e quanti invece, e quali, parteciparono al depistaggio, o addirittura – come è probabile – lo organizzarono e guidarono. Il depistaggio a cosa serviva? Al depistaggio era interessata la mafia? Ci fu un accordo tra mafia e alcuni poliziotti e/o magistrati?
Diciamo che alla seconda di queste domande (al depistaggio era interessata la mafia?) non si può che rispondere affermativamente. E questo rende molto inquietanti la prima e la terza domanda. L’intercettazione che rivela che Scarantino a un certo punto voleva chiamarsi fuori è del 22 maggio del 1995, vigilia del suo interrogatorio, e riguarda una telefonata con la moglie: «Prepara la valigia, ho deciso di tornare in galera», disse.
Scarantino era fuori dal carcere – dove era finito per vai delitti minori in cambio della sua collaborazione. Poi però Scarantino ci ripensa di nuovo e depone. E conferma la versione fantasiosa sulla strage. Cosa lo convince a tornare falso pentito? E chi lo convince? Gli inquirenti? E perché lo fanno? E con quali minacce? L’ipotesi che ora viene avanti è la seguente (ed è del tutto alternativa alle tesi del processo Stato-Mafia).
Borsellino, quando fu ucciso, stava per prendere in mano il dossier mafia-appalti, preparato dal colonnello Mario Mori sotto la guida di Giovanni Falcone. Falcone, quando lasciò Palermo, pregò Borsellino di seguire lui quel dossier, ma Borsellino per due anni non riuscì a farselo assegnare. Poi, dopo la morte di Falcone, tornò all’attacco e la mattina del 19 luglio 1992 il procuratore Giammanco gli telefonò per dirgli che il dossier era suo. Quattro ore dopo però Borsellino era morto. Giammanco forse non sapeva che i Pm che stavano nel frattempo lavorando sul dossier di Mori avevano pochissimi giorni prima della strage firmato la richiesta di archiviazione. Lo stesso Giammanco firmò la richiesta di archiviazione pochi giorni dopo la morte di Borsellino e l’archiviazione fu concessa in fretta e furia, meno di un mese dopo, il 14 agosto, giorno nel quale – fino al 1992 – nessuno mai aveva lavorato nella procura di Palermo.
Quel dossier era una bomba. Indicava i rapporti tra mafia e moltissime imprese dell’Italia continentale. Anche grandi imprese. Con la morte di Falcone e di Borsellino sparì. Mori continuò a lavorare contro la mafia, catturò Riina, ma cadde in disgrazia e ora è imputato nel processo Stato-Mafia addirittura di associazione esterna in associazione mafiosa, do-
po essere stato assolto da tre tribunali per le stesse accuse.
Ci fu una trattativa tra mafia e una parte dello Stato, e della magistratura, alla base del depistaggio Scarantino? È una domanda fondamentale, perché quel depistaggio – che è stato recentemente definito da alcuni magistrati come il più grande depistaggio della storia della Repubblica – fu quello che impedì di scoprire la verità sulla mafia stragista. Ormai quella verità è sepolta. Alcuni magistrati che caddero nella trappola Scarantino sono gli stessi che poi allestirono il processo Stato-mafia.
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