La decisione della Corte d’appello di Palermo di risarcire l’ex numero due dei servizi segreti italiani – che fu accusato ingiustamente di avere fatto patti con la mafia e fu sbattuto in galera per lunghi anni – non ha fatto molto scandalo. I giornali se ne sono occupati poco. La sentenza arriva in applicazione di una precedente sentenza della Corte europea, la quale aveva stabilito che il numero due dei servizi segreti, e cioè Bruno Contrada, era stato condannato per un reato che non esisteva. E dunque era ingiusta la condanna e sommamente ingiusta la detenzione (durata 10 anni tra carcere e domiciliari). Il reato in questione è quello di “concorso esterno in associazione mafiosa”, che non sta scritto nel nostro codice penale. È stato usato molto spesso negli ultimi anni quando non è stato possibile provare la partecipazione alla associazione. In assenza di prove si risolveva con l’uso della parolina magica: “esterno”.

Beh, non vi pare un fatto clamoroso? Uno dei più importanti investigatori italiani sospettato di infamia, condannato, imprigionato, massacrato, e poi riconosciuto innocente tanto che lo Stato ha deciso di ripagarlo in denaro per ottenere il suo perdono. A me sì: sembra un’enormità. E una grossa umiliazione per la macchina della nostra giustizia che per 25 anni non si è accorta che i suoi pm e i suoi giudici non conoscevano il codice penale e sulla base di questa mancanza molto grave, e di questa colpa, hanno commesso una violazione imperdonabile del diritto e dei diritti di un cittadino italiano e di un uomo delle istituzioni. Potrei fermarmi qui. Son cose che conosco. So che l’opinione pubblica e la stampa sono pronte a infilzare un medico o un architetto per un qualunque piccolo sospetto di mancanza professionale. Un Pm o un giudice mai. Anzi, sì, in un solo caso: se assolve.

Non mi fermo qui perché nelle ore successive a questa sentenza due esponenti prestigiosissimi della magistratura, l’ex Procuratore di Palermo e quello di Torino, Gian Carlo Caselli e l’ex Pm palermitano Antonio Ingroia, che qualche responsabilità ce l’hanno nella faccenda Contrada, hanno rilasciato dichiarazioni furiose alla stampa, giurando che Contrada è colpevole, è colpevole ed è colpevole. Di cosa? Sicuramente non del reato inesistente per il quale è stato condannato. Non basta questo a dire che la magistratura italiana, di fronte al mondo, ha fatto una figura barbina, e che ha leso mortalmente i diritti della persona? No, anzi Ingroia arriva a protestare per il risarcimento, e a dire che è una vergogna che lo Stato debba pagare quasi 700mila euro – per decisione della Corte d’Appello, proprio in questi giorni di crisi e di virus. La dichiarazione di Ingroia mi lascia allibito non perché penso che sia in malafede ma perché, purtroppo, so che lui è in perfetta buona fede. Ingroia, come un pezzo non piccolissimo della magistratura italiana, crede a un principio che non è in grado di mettere mai in discussione. Questo: l’accusa ha ragione.

Che è diverso, e molto più estremista, del principio, diffusissimo: la magistratura ha sempre ragione. Ingroia pensa che la magistratura abbia sempre ragione, salvo quando assolve. La Cedu ha torto. La Corte d’appello di Palermo ha torto. E si stupisce come un bambino quando vede che la sua idea non è universalmente riconosciuta, e che c’è chi considera il Diritto un valore superiore al valore della magistratura. Naturalmente uno potrebbe anche prendere alla lettera Ingroia, e chiedersi: ma perché deve pagare lo Stato per l’errore di alcuni professionisti, cioè di alcuni magistrati? Se sbaglia l’ingegnere paga l’ingegnere, se sbaglia il medico paga il medico. Non paga il magistrato? No, perché i magistrati, che hanno un potere politico cento volte superiore a quello dei medici e degli ingegneri e degli avvocati, hanno ottenuto di essere l’unica piccola e divina casta che non risponde civilmente dei propri errori. È una legge molto ingiusta. Ingroia vuole metterla finalmente in discussione? Beh, se è così, questa è una buona notizia.

P.S. Caselli ci invita, per capire meglio come stanno le cose, a leggere un libro che lui ha scritto col suo collega Guido Lo Forte. Non sono sicuro di poter trovare le spiegazioni in quel libro. Al suo collega Guido Lo Forte chiesi alcune volte – con articoli di giornale – perché avesse archiviato l’inchiesta su Mafia e Appalti condotta da Falcone e dal Generale Mori. Perché l’avesse archiviata proprio nei giorni dell’uccisione di Borsellino. Era un’inchiesta considerata importantissima anche da moltissimi magistrati, compreso il big di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Lo Forte non mi ha mai risposto. Anzi, mi ha querelato, perché lui ritiene che porre domande antipatiche ai magistrati sia un reato. Siamo messi bene…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.