«Questa sentenza segna la fine – definitiva – della “storia d’Italia” scritta da Giancarlo Caselli e Antonio Ingroia», afferma Calogero Mannino, senatore ed ex ministro della Democrazia cristiana, all’indomani del deposito delle motivazioni della sentenza che ha confermato l’assoluzione dall’accusa di “minaccia a corpo politico dello Stato”. Secondo i giudici della Corte d’Appello di Palermo, presidente Adriana Piras, Massimo Corleo e Maria Elena Gamberini a latere, Mannino «non ha commesso il fatto». Per la Corte di Palermo Mannino è estraneo alla “trattativa” fra pezzi dello Stato e i vertici della mafia. In primo grado, al termine del rito abbreviato, il gup Marina Petruzzella aveva rigettato la richiesta di condanna a nove anni sollecitata dai pubblici ministeri. Calogero Mannino oggi ha 80 anni. Li ha compiuti ad agosto. E’ un siciliano nato a Sciacca. Ha iniziato a fare politica da ragazzino. Sempre nella Dc. Faceva parte della corrente di sinistra di Donat Cattin. Nel 1961, a 22 anni, fu eletto per la prima volta in una assemblea, e cioè al Consiglio provinciale di Agrigento. Poi nel ‘72 entra in Parlamento e ci resta per quasi quarant’anni, fa anche il ministro: Mezzogiorno, Agricoltura, Trasporti. Poi a metà degli anni novanta la mazzata: carcere. Mafioso. Inizia la persecuzione di una parte della Procura di Palermo contro di lui. Ora finalmente esce definitivamente dall’incubo. Un incubo durato tre decenni. ne esce adesso che non è più un ragazzino…

Senatore Mannino, i giudici hanno dunque fatto a pezzi il teorema secondo il quale lei, minacciato dalla mafia per non aver mantenuto i patti, avrebbe avviato grazie ai carabinieri dei Ros una trattativa finalizzata a dare concessioni ai clan in cambio di una “assicurazione” sulla vita.
Nelle oltre mille pagine di motivazioni, il collegio ha posto una pietra tombale su questa narrazione che si trascinava da circa trent’anni.

Per i giudici non è stato dimostrato che lei “fosse finito nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute – addirittura quella del buon esito del primo maxi processo – ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria che fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a Cosa nostra quale esponente del governo del 1991”.
Esatto. Mi permetta di considerare questa sentenza come la “Cattedrale della verità”.

Arrestato nel 1994 con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, dopo nove mesi di carcere, tredici di arresti domiciliari e una trafila giudiziaria estenuante, nel 2010 lei era stato assolto definitivamente dalla Cassazione perché il fatto non sussiste. Ora questa nuova assoluzione.
Sì. I giudici hanno chiarito l’aspetto relativo al mancato rinnovo del 41 bis ad alcuni mafiosi…Delle trecento persone a cui non fu rinnovato il 41 bis, solo undici erano mafiosi: i giudici hanno ribadito che il mancato rinnovo del 41 bis fu il frutto di una sentenza della Corte costituzionale ed altro… Io mi sono sempre adoperato per il contrasto alla mafia.

Secondo la ricostruzione dell’accusa, lei sarebbe stato il “primo anello della trattativa”: temendo per la sua incolumità, grazie ai suoi rapporti con l’ex capo del Ros Antonio Subranni, nel ’92, si attivò per avere protezione.
Non so cosa abbiamo fatto gli ufficiali dei Carabinieri, i generali Mario Mori e Subranni.

I carabinieri avviarono una “interlocuzione con Vito Ciancimino solo per la cattura dei latitanti”. Lo scrivono i giudici. Nessuno era stato tenuto all’oscuro. Tramite Liliana Ferraro, magistrato al ministero della Giustizia, amica di Giovanni Falcone, era stato avvisato Paolo Borsellino, così come dopo l’arresto di Ciancimino, anche il procuratore di Palermo, Caselli.
Nella indagine “mafia e appalti” i carabinieri avevano svolto indagini anche nei miei confronti.

In questo processo era tornato a deporre il pentito Giovanni Brusca, confermando il progetto di attentato nei suoi confronti e riferendo di un tentativo di avvicinarla da parte di Totò Riina. Dice Brusca che “Mannino era stato cercato da Riina per alcune richieste, per aiutarlo ad aggiustare qualche processo o qualche altro favore. Tra gli anni ‘80 e ‘90 aveva cercato un contatto con lui tramite un tale notaio Ferraro, di Castelvetrano. L’interesse riguardava il processo Basile, con imputati Giuseppe Madonia, Vincenzo Puccio e Armando Bonanno”.
Ripeto, sono stato già assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, sentenza definitiva.

Che effetti avrà questa sentenza sul processo d’appello ‘trattativa Stato-mafia”? La Corte d’assise, presieduta da Alfredo Montalto ha condannato a dodici anni Mori e Subranni e l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, 8 anni per l’ex colonnello Giuseppe De Donno.
Non faccio il magistrato, ritengo però che sarà molto difficile per il collegio non tenere conto di questa pronuncia

Ed i pm di Palermo? Nino Di Matteo è al Csm.
I pm di Palermo sono conviti da sempre che io abbia nel corso della mia vita intessuto rapporti con Cosa nostra. È una narrazione “funambolica” che si è trascina per anni. Solo la mia forza d’animo mi ha aiutato a sopportare questo calvario.

Pensa che faranno ricorso in Cassazione?
Facessero quello che vogliono. Come sono stato assolto fino ad oggi, sarò assolto anche domani.