“Devo constatare con grande amarezza che ci sono alcuni magistrati i quali non vogliono accettare la pronuncia della Cedu secondo cui la condanna nei confronti di Bruno Contrada deve essere cancellata”. A dirlo al Riformista è il difensore di Contrada, l’avvocato Stefano Giordano, commentando la decisione della Cassazione di accogliere la scorsa settimana il ricorso contro l’ordinanza della Corte d’Appello di Palermo di rigettare la domanda di ingiusta detenzione per l’ex dirigente della polizia di Stato e dei Servizi. “L’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli – prosegue Giordano – ha sempre criticato le decisioni della Cedu, parlando di ‘diritto straniero’. Vorrei ricordare che l’Italia fa parte del Consiglio d’Europa ed ha ratificato la Convenzione dei diritti dell’uomo, quindi è tenuta al rispetto delle pronunce di Strasburgo”.

L’alto funzionario del Ministero dell’interno, novantuno anni il prossimo settembre, venne arrestato alla vigilia di Natale del 1992 su richiesta proprio dell’allora procuratore Caselli. Al termine di un iter processuale quanto mai complesso i cui elementi di prova erano le dichiarazioni di alcuni pentiti, ad iniziare da Gaspare Mutolo, Contrada era stato condannato in via definitiva nel 2007 a dieci anni di reclusione, quasi tutti scontati in regime detentivo, per ‘concorso esterno in associazione mafiosa’. Nel 2015 la Cedu, a cui gli avvocati di Contrada si erano rivolti, aveva però stabilito che questa condanna dovesse essere cancellata in quanto il reato contestato di concorso esterno era il risultato di “un’evoluzione giurisprudenziale iniziata alla fine degli anni ‘80 del ‘900”, e quindi non previsto da disposizioni di legge. Per tale motivo l’Italia aveva violato l’articolo 7 della Convenzione dei diritti dell’uomo secondo il quale nessuno può essere condannato per un’azione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Il governo italiano aveva anche presentato ricorso, poi respinto, alla Grande Chambre contro tale pronuncia.

Contrada aveva allora presentato istanza di revoca del provvedimento di destituzione emesso nei suoi confronti a gennaio del 1993, chiedendo il reintegro seppure in quiescienza, e contestualmente il risarcimento per l’ingiusta carcerazione patita. Per il primo aspetto, l’allora capo della Polizia Franco Gabrielli aveva dato subito corso alla richiesta di Contrada, ricostruendogli la carriera da prefetto, per il secondo, la Corte d’appello di Palermo nel 2020 gli aveva riconosciuto un risarcimento di 667 mila euro. La pronuncia della Corte d’Appello veniva impugnata in Cassazione dalla Procura generale del capoluogo siciliano, allora retta da Roberto Scarpinato. La Cassazione annullava la decisione della Corte palermitana, affermando che non vi era “alcuno spazio per revocare il giudicato di condanna presupposto”, disponendo un nuovo giudizio in quanto se la sentenza di condanna ed i suoi effetti dovevano essere annullati, Contrada aveva comunque commesso le condotte contestate e quindi non aveva diritto ad alcun risarcimento. La Corte d’appello di Palermo in sede di rinvio lo scorso gennaio sposò tale orientamento, sconfessando così la sua precedente pronuncia con cui aveva fissato il risarcimento a Contrada.

“A questo punto aspettiamo le motivazioni della sentenza”, prosegue Giordano, soddisfatto per la decisione di Piazza Cavour. “Il risarcimento di Contrada – aggiunge – è un fatto puramente simbolico ma di grande importanza in uno Stato che si definisce di diritto”. Il ‘problema’ sarà ora la composizione del collegio che dovrà pronunciarsi. In questa interminabile staffetta, molti giudici hanno esaminato il fascicolo divenendo così incompatibili. “Mi auguro solo, vista l’età di Contrada ed il suo precario stato di salute, che una volta lette le motivazioni la Corte d’Appello fissi quanto prima l’udienza”, continua Giordano. “Dopo questa pronuncia, mi aspetto però altro fango nei confronti di Contrada visto l’avvicinarsi della ricorrenza della strage in cui perse la via Paolo Borsellino”, conclude Giordano. Contrada, accusato di avere avuto rapporti con i mandanti ed esecutori della strage di via D’Amelio, era stato uno dei pochi ad accorgersi del depistaggio posto in essere dal falso pentito Vincenzo Scarantino.