Dimissioni Lecornu, Gozi: “Francia spaccata in tre. Dalla crisi costante al voto inevitabile”

SANDRO GOZI MEMBRO DEL PARLAMENTO EUROPEO

«È possibile che si vada al voto, ma non illudiamoci che così si risolva il problema». Sandro Gozi, europarlamentare di Renew Europe, eletto in Francia per Mouvement Démocrate, ha appena ricevuto la notizia delle dimissioni di Sébastien Lecornu. Un incarico durato appena un mese. Eppure Gozi non si dice sorpreso.

Onorevole, se l’aspettava?

«Purtroppo sì. I tatticismi, soprattutto tra i repubblicani, hanno anticipato queste dimissioni. Del resto, il compito di Lecornu non era per nulla facile».

Tatticismi che nascondono una congiura di Palazzo?

«Il termine è forte. Parlerei più di un’ambiguità dei repubblicani che riflette quella del Partito popolare europeo. A Bruxelles, il Ppe guarda sempre più con attenzione all’estrema destra. È in corso un dibattito interno all’Lr sulle scelte da compiere in tema di politica finanziaria, governabilità e riforma dell’Ue. C’è chi auspica alleanze con altre forze pro-europee e chi, invece, propone di seguire il cosiddetto modello italiano, come lo si chiama qui in Francia. Ovvero aprire all’estrema destra. Sull’esempio di Forza Italia che adesso governa con Giorgia Meloni».

Eppure c’era dell’ottimismo.

«Alcuni pensavano che Lecornu avesse le caratteristiche per riuscire in un’impresa in cui i suoi predecessori hanno fallito. Dialogo, ascolto, ma anche rottura dagli schemi precedenti. Queste qualifiche avrebbero permesso al governo di raggiungere l’obiettivo di bilancio. L’errore per alcuni è stato nel proporre un governo fotocopia di quello Bayrou».

Lecornu cos’ha offerto all’Assemblea nazionale perché si uscisse dalla crisi economica?

«Lecornu ha escluso l’uso dell’articolo 49 (il cui comma 3 permette al primo ministro di far approvare un progetto di legge senza voto parlamentare, impegnando la responsabilità del governo, ndr). In questo modo, l’esecutivo ha preso l’impegno di lavorare fino in fondo con il Parlamento e di rispettarne pienamente la volontà.  Questa legge di bilancio che, ricordiamocelo, è l’ultima prima del presidenziale, visto che quella del 2026-’27 sarà approvata, per prassi, da tutti, dato che ogni candidato alle presidenziali ha poi la possibilità di presentare le sue diverse priorità e applicarle in caso di vittoria. Bene, l’invito non è stato accolto da nessuno».

A due anni dalle presidenziali, questa crisi quanto rischia di compromettere i futuri candidati all’Eliseo?

«Questo è il vero problema. I repubblicani, ma non solo, da quando si alzano e bevono il caffè la mattina a quando vanno a dormire, pensano unicamente al loro destino nelle presidenziali del 2027. Qualsiasi mossa di ogni leader è funzionale al voto tra due anni. Logico che così si inquina il dibattito sui problemi attuali del Paese».

Al di là delle emergenze economiche e delle soluzioni che non si vogliono accettare, cosa riflette questa crisi della Francia attuale?

«È il risultato di due elementi. Uno politico, l’altro sociale. Dal voto dello scorso anno, tutte le forze parlamentari continuano a comportarsi come se ognuna di loro avesse vinto con maggioranza assoluta le legislative. E quindi ciascuna pretende di far passare in toto il suo programma. C’è un piccolo problema. Nessuna di loro ha vinto. I francesi hanno espresso un Parlamento diviso in tre: estrema destra, estrema sinistra, centro europeista. Tre blocchi che rappresentano ormai anche la società francese».

Nemmeno dopo Macron?

«C’è chi considera quella di Macron come una parentesi. Una volta chiusa, l’estrema destra e l’estrema sinistra torneranno a essere le protagoniste. Non ci si rende conto, invece, che ormai è una divisione consolidata da cui non si tornerà più indietro. I tre blocchi corrispondono a tre blocchi sociali, a tre blocchi territoriali, a tre modi di stare nel mondo e in Europa».

Perché tra le soluzioni in Francia non si parla mai di un governo tecnico?

«Manca la cultura per questa strada. Credo che anche un governo tecnico avrebbe gli stessi problemi. Servirebbe una personalità istituzionale progressista per riavviare il dialogo tra blocco centrale e socialisti».

Quindi si va al voto?

«Per rispondere ci vuole la sfera di cristallo. Un nuovo scioglimento dell’Assemblea nazionale è oggi probabile. Vista la situazione di impasse e l’atteggiamento irresponsabile dei repubblicani e dei socialisti, è difficile pensare ad altre alternative. Del resto, tra le prerogative del presidente c’è quella di provare ulteriori tentativi almeno per far approvare il bilancio. Anche ricorrendo alla “legge speciale di finanza”».

Conviene all’Eliseo questo accanimento terapeutico?

«Convenga o meno, so che ci sta riflettendo proprio in queste ore in cui sta anche chiedendo a Lecornu di effettuare un ultimo tentativo. Tanto più che un voto oggi porterebbe a un Parlamento con gli stessi numeri. Anzi, con complessità perfino maggiori. Il fatto è che, se non si introduce una dose di proporzionale in questo sistema elettorale così incoerente con le divisioni del Paese, non si arriva a nulla. È arrivato il momento di liberare le forze politiche da un bipolarismo che non è più rappresentativo della società francese».

Onorevole, lei prima ha accennato al modello italiano. È una strada percorribile nel panorama francese?

«C’è chi lo spinge. Da chi parla a destra di “modèle italien” alla stampa conservatrice che ruota intorno al gruppo Bolloré. Figaro Magazine, Valeurs actuelles e Journal du dimanche ne parlano da mesi. L’intento è spingere la destra repubblicana tradizionale a fare l’alleanza con Marine Le Pen».

Se la destra si muove in questa direzione, la sinistra che fa?

«Fino a ieri socialisti, La France insoumise e Raphaël Glucksmann hanno rifiutato reciprocamente un accordo. Per tanti motivi. Dalle accuse di antisemitismo a Mélenchon a quelle di tradimento dei valori della sinistra ai socialisti. Un ritorno al voto non farebbe altro che aggravare queste lacerazioni».

Una crisi politica ed economica che segna un lungo tramonto per la presidenza Macron.

«Non dimentichiamo che dalla presidenza Chirac a oggi (terminata nel 2007, ndr), Macron è il solo a essersi assicurato due mandati all’Eliseo. Non è stato così né per Sarkozy, né per Hollande. Inoltre anche Chirac, a metà del suo mandato, attraversò problemi notevoli. Macron è l’unico a esserci riuscito in una società francese molto frammentata».