È morto Jean Paul Fitoussi: intollerante ai dogmi, all’economia chiedeva di guardare in faccia la realtà

Sentirlo parlare di Unione Europea, senza sapere chi fosse, avrebbe potuto generare non pochi equivoci o fraintendimenti. Lo si sarebbe potuto includere senza troppi complimenti fra i “sovranisti” e gli “antieuropeisti” più accaniti. Nulla di più lontano da lui, dalla sua formazione culturale e dal senso di certe sue battaglie. Tanto poteva considerarsi ortodosso nell’adesione alla corrente economica dominante nel secondo dopoguerra, quella keynesiana, tanto si discostava dal discorso economico ufficiale nelle conseguenze che ne traeva. Nonché per un certo suo pragmatismo che era poi intolleranza per i dogmatismi di ogni tipo.

Intanto, Jean-Paul Fitoussi, morto a Parigi l’altra notte quasi ottantenne (era nato il Tunisia il 19 agosto 1942), pur essendosi conquistato una fama internazionale come economista, non si era mai rinchiuso nella sua disciplina, nelle formule astratte e nei teoremi costruiti a tavolino dai suoi colleghi: non solo li aveva sempre misurati nella realtà, ma aveva anche capito che un nesso indissolubile li lega alla politica e agli orientamenti pratici di chi opera e pensa economicamente. È così che il problema dell’Euro per lui non era tanto economico ma politico, rinviando quindi al problema più generale della costruzione europea e della filosofia che l’aveva ispirata, almeno negli ultimi decenni (cfr. La crisi economica in Europa, scritto con il Premio Nobel Edmund Phelps, Il Mulino 1989). In qualche modo l’Europa era stata l’esperimento proprio di un modo di fare economia che non era il suo. In nome, infatti, di un ideale astratto, il pareggio di bilancio, e di una concezione altrettanto astratta della concorrenza sia sociale sia fiscale si sono promosse politiche di austerità che hanno in qualche modo invertito il concreto rapporto fra l’uomo e la scienza economica: non la seconda al servizio del primo, ma il primo schiavo dei dogmi della seconda (cfr. Il dittatore benevolo. Saggio sul governo dell’Europa, Il Mulino 2003; L’Etat de l’Union européenne, Fayard, 2007).

Da una parte, Fitoussi riteneva perciò, keynesianamente, che la politica economica dovesse sostenere l’occupazione attraverso la domanda, e dovesse combattere la povertà e la disoccupazione (cfr. Il teorema del lampione o come mettere fine alla sofferenza sociale, Einaudi 2013); dall’altro sembrava rendersi conto, almeno ultimamente, che l’intera disciplina andava ripensata e rifondata su nuove basi (cfr. La neolingua dell’economia ovvero come dire a un malato che è in buona salute, Einaudi 2019). In quest’ottica, ma è solo un esempio fra i tanti, egli aveva lavorato, con altri due premi Nobel come Joseph Stiglitz e Amartya Sen, alla definizione di un indicatore dello sviluppo economico diverso dal PIL che aveva definito “la misura sbagliata delle nostre vite” (cfr. Misurare ciò che conta, Einaudi 2021). Così come aveva da subito messo in luce le cause tutte teoriche, oltreché politiche, della crisi finanziaria del 2007-2008. Aveva anche sollecitato più volte i politici a mettere al centro dell’attenzione il problema demografico, che era per lui il più evidente segno del declino europeo e della necessità di invertirne la marcia.

Storico professore dell’Institut d’etudes politiques (SciencesPo) di Parigi, Fitoussi era anche docente da una decina di anni di Economic Policy alla Luiss di Roma. All’Italia era legato da un rapporto di amore e frequentazione che lo portava ad essere molto presente nel dibattito pubblico nazionale. Non si contano i premi e i riconoscimenti della sua vita di studioso, nonché i ruoli pubblici ricoperti: in Francia, ove era stato consigliere economico di più presidenti, ma anche nel nostro Paese (dal consiglio di amministrazione di Telecom Italia a quello di sorveglianza di Banca Intesa Sanpaolo). Quel che più conta però, e che rimarrà di lui, è la capacità che aveva di dare in modo semplice e confidenziale risposte autorevoli e spesso controcorrente ai suoi interlocutori: il tratto umano gentile e lo stile sereno e colloquiale del suo parlare..