Emanuele Severino è tornato, l’uomo libero che rifiutò il Quirinale in nome del pensiero

Il filosofo bresciano Emanuele Severino torna con la forza del suo pensiero nel libro di Paolo Barbieri, Emanuele Severino giornalista (Scholé). Barbieri, giornalista e tra i fondatori dell’Associazione Emanuele Severino, ricostruisce il pensiero del filosofo attraverso i suoi scritti giornalistici, offrendo al lettore non solo una raccolta di testi, ma una raffinata interpretazione resa possibile dalla conoscenza profonda delle sue opere. È un libro «maledetto», come direbbe Oriana Fallaci, perché tiene inchiodati alla scrivania, costringendo a scavare tra i rimandi impliciti e a riflettere quasi ossessivamente. Non coinvolge solo gli studiosi severiniani, ma anche gli storici, i lettori di Pasolini, gli studiosi di Fallaci e soprattutto i teologi e gli uomini di Chiesa.

Ricostruire gli interventi di Severino su Bresciaoggi, Spirali, Liberal, Corriere della Sera è stato un lavoro immane. Severino leggeva la storia con rigore, senza schierarsi politicamente, illuminandone i meandri per giungere al fondamento delle questioni. Voleva aiutare il lettore comune ad attraversare con lui la complessità della storia, prima di ogni sentenza personale o giudizio morale. Negli articoli non troviamo un altro Severino: è sempre lo stesso pensiero delle Opere, ma espresso con linguaggio accessibile ai “non addetti ai lavori”. Per questo il libro di Barbieri è unico: guida il lettore ai capisaldi della filosofia severiniana, a partire dagli interventi giornalistici. Severino non concepiva la cultura come intrattenimento e rifuggiva i salotti televisivi: «Dove sono finiti gli intellettuali?» (p. 9). La sua attività pubblica si limitava alla carta stampata: «Si contano sulla punta delle dita le sue apparizioni in televisione» (p. 11). Scriveva pensando al lettore e non al telespettatore.

Il suo esordio avvenne nel 1947 sul Giornale di Brescia, con prose poetiche dedicate alla fidanzata Esterina, presenza decisiva nella vita e nel lavoro del filosofo. Molto del materiale di Severino è stato ordinato e catalogato proprio dalla moglie. Dopo la strage di Piazza della Loggia (1974), Severino intervenne su Bresciaoggi contrapponendosi con garbo a Moravia e Pasolini. Con quest’ultimo la polemica fu centrale. La sua «scrittura semplice», sottolinea Barbieri, aveva sempre sullo sfondo la struttura scientifica dei libri. La collaborazione con il Corriere della Sera fu intensa soprattutto con Armando Torno, legato a lui da amicizia e collaborazione. L’ultimo articolo è del 25 ottobre 2020: «Filosofia e fede per un amico», che avrebbe dovuto essere la prefazione della mia autobiografia che poi non fu mai pubblicata (p. 21). Fu Severino ad incoraggiarmi a scrivere un’autobiografia, nella quale analizzassi tutta la mia esperienza negli anni in cui un tumore molto raro non mi dava tregua, fino a giungere anche alla testa. E lo stesso Severino volle seguire la mia malattia affidandomi alle cure di Eugenio Parati, che in quegli anni lavorava al Besta di Milano.

Ma alla fine fu il compianto professore von Herrmann a non volere che questa autobiografia venisse pubblicata e – nonostante Severino rivide le bozze del testo per la stampa – decidemmo insieme di seguire l’“ordine” di von Herrmann e di non pubblicare questo testo. Era impossibile convincere von Herrmann a rivedere la sua posizione. E fu così che riposi questo testo nel cassetto insieme alla prefazione che Severino aveva vergato. Severino andava al fondamento dei problemi offrendo chiavi di lettura mai scontate, spesso prevedendo ciò che sarebbe accaduto nella politica italiana. La sua visione politica apre domande ancora attuali: «In cosa consiste lo spirito europeo?», notando che l’unità monetaria non basta a definire l’Europa. E se a questo si aggiunge che da tempo la politica «ha ceduto» all’economia la guida della società, si arriva a comprendere come «di fatto lo Stato non è più Stato politico, ma economico». Non a caso rifiutò la proposta di candidatura alla Presidenza della Repubblica: il lavoro filosofico veniva prima.

Barbieri suddivide il libro in sezioni. Nella parte dedicata alla «guerra», Severino mette a confronto l’articolo 11 della Costituzione con gli articoli 78 e 87 e discute se esista una «guerra giusta». Centrale la polemica con Pasolini sul terrorismo, dopo che pubblicò sul Corriere «Il romanzo delle stragi». Pasolini sosteneva: «Io so i nomi», ma senza rivelarli. Severino contestò questo silenzio con rigore logico. Sempre garbato, fondava ogni obiezione sul ragionamento filosofico. Interessanti le riflessioni sul terrorismo islamico: in Islam e Occidente, le stesse radici afferma che il vero vincitore della sfida sarà la tecnica.

Altro tema: «Scuola e Università». Nel 1997 Severino fu chiamato da Berlinguer nella commissione per la riforma dei programmi scolastici con Eco e Levi Montalcini. Partecipò al dibattito scuola pubblica/paritaria e al confronto con il cardinale Ruini: «Cari cattolici, evangelizzate gli uomini e lasciate stare la cultura» (p. 83). Mise in guardia dal rischio che economia e politica imbavaglino la cultura. «Nell’università italiana le sorti della filosofia sono nelle mani di chi non ha interessi per la filosofia» (p. 87). Denunciava la logica del consumo e la propaganda politica che corrompe l’università.

Il capitolo più significativo riguarda i «problemi etici»: aborto, fecondazione assistita, eutanasia, suicidio. Con Pasolini la polemica fu accesa sull’aborto: egli era contrario alla legalizzazione, Severino criticò l’enciclica Evangelium vitæ e smontò la posizione pasoliniana. Dalla linea assunta da Severino emerge come Pasolini non abbia mai compreso lo spirito con il quale Oriana Fallaci scrisse il suo Lettera a un bambino mai nato: testo contro il quale Pasolini si scagliò ferocemente, tanto che Fallaci dovette intervenire in prima persona. Anche sulla questione dell’embrione Severino si confrontò con il cardinale Sgreccia, che lo travisò. Sgreccia sottovalutò Severino, il quale gli rispose in un suo scritto senza fare sconti: «Santo Cielo! Se io avessi scritto queste strampalerie, monsignor Sgreccia avrebbe il diritto di considerarmi uno sciocco. Ma non avendole scritte è sorprendente che un esponente autorevole e competente della Chiesa abbia così frainteso il mio discorso». Solo Ravasi e Martini dialogarono seriamente con lui. Di estrema attualità resta la riflessione sull’«eutanasia», che affrontai personalmente con il professore durante la mia malattia: mi aiutò a capire come le questioni morali o religiose dovessero rimanere fuori da una riflessione seria sulla possibilità di praticarla.

Barbieri prosegue con il «tramonto» di capitalismo, comunismo e cristianesimo, analizzato da Severino a partire da Gli abitatori del tempo. Centrale il rapporto fede/ragione, la resurrezione, il dubbio: temi affrontati con la stessa forza con cui Giovanni Paolo II guidò la Chiesa tra scandali e relativismo. Seguono i compagni di viaggio: Parmenide, Eschilo, Leopardi, Nietzsche, Gentile, Heidegger, Proust. Nella casa di Severino si conserva l’edizione Einaudi delle opere di Proust annotata da Esterina. Sull’antisemitismo attribuito ad Heidegger, Severino prese le distanze dalle accuse di Di Cesare: «No, non sono la variante di Heidegger». Qui Barbieri appare meno preciso: lascia la questione aperta, mentre Severino si era difeso con chiarezza.

Ultimo capitolo: «musica e cinema». Prima passione di Severino fu la musica, che lo portò anche a comporre; molto meno il cinema. Tra i registi amati, Bergman e Kubrick, il cui Arancia meccanica ispirò alcune riflessioni teoretiche. Il libro di Barbieri riporta Severino in vita con la forza del suo pensiero, ancora capace di interrogare la responsabilità degli intellettuali. Infine, è doveroso un ringraziamento alla Morcelliana, che fu dimora del filosofo e gli diede sostegno dopo il processo del 1969 in cui la Congregazione per la dottrina della fede dichiarò la sua filosofia incompatibile con il cristianesimo, costringendolo a lasciare l’Università Cattolica. Morcelliana, insieme ad Adelphi e Rizzoli, è stata una delle case editrici dove Severino ha dato abitazione al suo pensiero.