Forse è arrivato il momento di porre fine, una volta per tutte, alle possibili soluzioni della “emergenza Taranto”. È doveroso da parte non di un presidente della Regione, non di un sindaco della città di Taranto appena eletto, non di un ministro in piena attività ormai da tre anni, ma da parte del governo e del parlamento, chiarire una soluzione che non può essere legata alla “invenzione” di sistematici “piani” che onestamente denunciano solo un chiaro e diffuso convincimento: credere solo nel fattore tempo come unico ed irreversibile risolutore di una emergenza ormai tragica.
La produzione di acciaio
Il piano, prodotto dai tre commissari, prevede una produzione di 8 milioni di tonnellate di acciaio l’anno attraverso quattro forni elettrici di cui tre a Taranto ed uno a Genova; il riparto della produzione è 6 milioni a Taranto e 2 milioni a Genova. A supporto dei quattro forni altrettanti impianti di preridotto ma tutti a Taranto perché non è possibile costruirne uno a Genova. Per l’alimentazione dei forni e degli impianti di preridotto a Taranto servono 5,1 miliardi di metri cubi di gas all’anno che si punta ad ottenere – salvo altri apporti come il gasdotto Tap da approfondire – con l’arrivo a Taranto di una nave di rigassificazione. Il governo vorrebbe ubicare tale nave nel porto di Taranto ma gli enti locali sono contrari e c’è come alternativa la realizzazione di una diga foranea in rada in cui ubicare l’impianto rigassificatore. Questa soluzione però ha un costo di 400 milioni di euro.
Tre altiforni
Il timing presentato attraverso tale piano prevede che lo stabilimento di Taranto torni a marciare con tre altiforni da marzo prossimo, recuperando così una produzione di 6 milioni di tonnellate sempre a condizione che la procura possa dissequestrare a settembre l’altoforno numero 1 out dopo l’incendio di maggio. È opportuno ricordare che le date dell’attivazione dei tre forni a Taranto sono collocate a fine 2029 a quasi metà 2031 e a fine 2033. Il piano, inoltre, non indica i numeri dell’occupazione né gli investimenti necessari. Con questi presupposti il governo intende annullare la gara espletata e bandire una nuova gara.Non si mette in dubbio la qualità e le finalità dell’intero piano anzi, dopo praticamente sette anni (data dell’inizio del governo conte 1 vero responsabile, insieme a draghi della crisi del centro siderurgico), è un primo “atto verità”, invece preoccupa che si continui ad ipotizzare ancora ad un coinvolgimento di capitali privati e, soprattutto a non seguire un itinerario che da tempo non viene preso in considerazione.
La soluzione
La soluzione può essere gestita in prima fase solo dallo stato ed è caratterizzata da almeno quattro riferimenti chiave: l’inserimento nel bilancio dello stato di un fondo di 4 miliardi per il risanamento funzionale dell’impianto, sia per quanto concerne la componente ambientale, sia per quanto concerne le caratteristiche tecnologiche dell’impianto stesso; la gestione del centro, per almeno un quinquennio, da parte di un sistema caratterizzato da un apposito partenariato pubblico privato; la rivisitazione funzionale dei sistemi logisti di accesso all’impianto (porto, reti ferroviarie ed autostradali); la riqualificazione funzionale dell’intero hinterland con uno stanziamento aggiuntivo di 1,2 miliardi di euro; la identificazione di una cassa integrazione guadagni straordinaria supportata da apposita norma.
La più grave bomba sociale
Sicuramente sono solo ipotesi che saranno approfondite o, addirittura, riviste integralmente ma il governo ed il parlamento penso di fronte a simili emergenze, abbiano l’obbligo di evitare soluzioni lontane da quella concretezza ed urgenza che la emergenza del centro siderurgico impongono. Occorre in questa fase, come ho ripetuto fino alla noia, evitare una delle più preoccupanti “bombe sociali” del mezzogiorno; una bomba che tra lavoratori diretti ed indiretti contiene la perdita di circa 25mila posti di lavoro; la più grave bomba sociale nella storia della Repubblica. Il governo e il parlamento fanno bene a definire itinerari concreti e capaci di evitare la irreversibilità della crisi, dopo però il parlamento deve affrontare il tema delle gravi responsabilità che hanno trasformato il più grande centro siderurgico d’Europa in un triste sito di archeologia industriale.
