Se in un giorno qualsiasi tra il 31 marzo 2008 (quando è stata assegnata Expo 2015 a Milano) e il 21 luglio 2011 (data dell’approvazione dell’accordo di programma) aveste chiesto cosa fosse questo Expo, avreste immancabilmente ricevuto questa risposta: “Una grande occasione”. Insistendo per dettagli, sareste caduti in risposte vaghe come nella definizione del Sarchiapone. Il vero Sarchiapone per tutti è la distorsione moderna fatta da Walter Chiari in un mitico duetto con Carlo Campanini: un passeggero fingeva di avere con sé un sarchiapone americano, mentre Chiari fingeva di conoscerlo. A ogni intervento, Campanini negava o smentiva, finché si scopriva che l’animale non esisteva ed era servito ad attirare l’interesse degli altri passeggeri.
Anche il sindaco Pisapia, al termine della lunga maratona di consiglio, si lasciò scappare la fatidica frase “una grande occasione” prima di rendersi conto dell’effettivo stato dell’arte lasciatogli in eredità. Con non poco sconcerto ci si dovette rendere conto che non solo non esisteva alcun progetto concreto ma, a meno di quattro anni dall’evento, non esisteva nemmeno un compromesso per l’acquisizione del terreno dai privati. La scelta di localizzare l’evento su un terreno privato determinava un costo di acquisizione di oltre 200 milioni di euro, trasformandosi in un’operazione capestro evitabile solo con la rinuncia all’evento.
Nel tentativo di documentarsi, si andarono a rivedere le vicende degli Expo precedenti, in particolare quello di Milano 1906. Si scoprì che era stato un fantastico successo, la prima edizione a non essere legata alla glorificazione del passato ma totalmente orientata al futuro con il tema “La scienza, la città e la vita”. L’anno fu spostato dal 1904 al 1906 per coincidere con l’inaugurazione del traforo del Sempione. L’intera esposizione ruotava intorno alla ferrovia e alle tecniche rivoluzionarie di traforazione, con un padiglione ferroviario centro culturale dell’evento e una futuristica monorotaia che univa le aree espositive.
Fu una grandiosa operazione di diffusione del “sapere operaio”, uno dei primi casi di scuola professionale dedicata al lavoro manuale. Lo testimoniano le decine di relazioni scritte da operai e capomastri che riportavano quanto avevano visto nei padiglioni. Il protagonismo delle organizzazioni operaie fu elevatissimo: il giornale di Filippo Turati, “Il Tempo”, dedicava l’intera edizione del 28 aprile all’inaugurale con “Viva il lavoro!”. I numeri certificano il successo: 1 milione di mq, 200 edifici, 120 ristoranti, 120 congressi, 35mila espositori, 7,7 milioni di visitatori, un utile finale di 121.321 lire destinato al restauro del Castello Sforzesco.
La scelta di Pisapia di procedere fu influenzata dalla necessità di cancellare l’immagine della “sinistra del no”, quella che durante la Seconda Repubblica imponeva la logica dei veti facendo naufragare i tentativi di governo stabile. Il sindaco si mosse con grande rapidità: chiuse la partita dei terreni in meno di due settimane, ponendo fine a una tormentata manfrina che durava da tre anni; instaurò rapporti istituzionali ispirati alla massima correttezza, anche con la Regione di Formigoni; garantì procedure e finanziamenti incagliati. Confermò in blocco il team di Expo Spa, dall’AD Sala all’ultimo degli uscieri, realizzando una riuscita separazione fra politica e tecnostruttura.
A pochi mesi da Expo 2015, la società si rinserrò in sé stessa per concludere la costruzione del sito. Nonostante alcune evidenti carenze, Expo aveva già raggiunto un obiettivo fondamentale: essere un acceleratore di nuove iniziative in tutta Italia. Migliaia di aziende, città, associazioni hanno preso contatto per proporre progetti. La partita vera sui contenuti si sarebbe giocata nel “fuori Expo”, nelle decine di migliaia di manifestazioni che avrebbero occupato Milano.
Il cambiamento sociale sarà particolarmente forte: dai 9 milioni di arrivi ai 25-30 milioni del 2015. Il passaggio a città turistica sarà duraturo. Il 2015 funzionerà da spartiacque fra l’epoca dello scoramento e dei dissesti e quella di un futuro urbano profondamente diverso. Se l’esperienza dei sei mesi darà il giusto entusiasmo e la consapevolezza delle potenzialità della città, fra qualche decennio il laghetto e i campi di verdure di Expo 2015 occuperanno nella memoria di Milano lo stesso ruolo simbolico della futuristica ferrovia sopraelevata del 1906.
