Il made in Italy rappresenta uno dei pilastri fondamentali della nostra economia: esportiamo eccellenza, tradizione e inventiva. Tuttavia, chi promuove i nostri prodotti all’estero si trova oggi a fronteggiare sfide sempre più complesse, con i dazi come insidia imminente. Il 9 luglio l’Amministrazione Trump prenderà la decisione definitiva su quali tariffe commerciali applicare all’Unione Europea, dopo l’allungamento della trattativa ottenuto dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Quasi la metà delle esportazioni italiane è diretta verso Paesi al di fuori dell’Unione Europea (la quota di export extra-Ue vale un attivo di 65 miliardi nei confronti del resto del mondo). Un dato che testimonia la solidità del nostro sistema produttivo, ma ne evidenzia anche la vulnerabilità, in un momento in cui un contesto geopolitico in costante mutamento – tra conflitti, pratiche commerciali scorrette e nuove barriere – influisce su rotte commerciali, costi di trasporto e catene di approvvigionamento globali.

Intanto, dallo Stretto di Hormuz – punto strategico da cui transita circa il 20% del petrolio mondiale – arrivano segnali sempre più allarmanti. Un’eventuale interruzione dei flussi avrebbe conseguenze rilevanti su energia, logistica e competitività, con impatti significativi anche sul nostro Paese. In questo scenario complesso, sorge spontanea una domanda: come possiamo oggi proteggere e valorizzare il made in Italy? Quali risorse possiamo mettere in campo per rimanere competitivi, senza snaturare l’identità delle nostre eccellenze? Federico Foti, Direttore Generale di Ambrosoli, una delle realtà emblema del made in Italy, regina dell’export, spiega: «L’attuale contesto di instabilità e incertezza globale non crea condizioni ideali per il nostro business. Per questo, Ambrosoli punta con decisione su qualità, innovazione e diversificazione, mantenendo saldi i valori che da sempre ci contraddistinguono. Le nostre caramelle al miele restano un prodotto di punta per l’export, ma abbiamo recentemente lanciato una nuova linea di integratori a base di miele, su cui stiamo investendo per espandere la nostra presenza sui mercati internazionali». Il Direttore Generale non fa mistero dell’importanza strategica dell’America per Ambrosoli: «Gli Stati Uniti rappresentano il nostro mercato principale, assorbendo il 25% del nostro fatturato.

Una rottura prolungata delle relazioni commerciali non sarebbe conveniente, non solo per i dazi, ma per l’instabilità stessa, che rappresenta una minaccia significativa. In questo scenario, l’innovazione è un driver fondamentale: ci permette di esplorare nuovi mercati – come il Far East e il Medio Oriente su cui abbiamo posto la nostra attenzione – grazie a strumenti sempre più avanzati». Per quanto riguarda le trattative concrete sui dazi, Foti si esprime in modo molto chiaro: «Un’imposizione del 10% sui nostri prodotti è ancora tollerabile, sia per noi che per i nostri partner statunitensi. Tuttavia, resta da vedere come questo si tradurrà sui consumatori finali. Oltre questa soglia, i problemi potrebbero diventare rilevanti, non solo per i costi aggiuntivi, ma per l’incertezza che ne deriverebbe». Sappiamo che negli ultimi anni l’Italia ha saputo incrementare la sua quota di export, segnale di un Paese con una vocazione industriale sempre vivida. Eppure questo sbilanciamento (la quota di domanda estera è circa il 40%) «nell’attuale contesto di instabilità può generare squilibri sistemici, soprattutto in un simile contesto. Tra le sfide più pressanti – sottolinea Foti – c’è il tema energetico, che impatta la competitività delle aziende. Negli anni, le imprese si sono adattate ma, per le PMI come la nostra, è cruciale lavorare in squadra, all’interno di sistemi consolidati, per affrontare queste difficoltà con resilienza».