L'intervista
Fini: “Israele è ancora una democrazia. Brava Meloni, posizione netta. Blair “governatore” della Striscia? Fantapolitica”
L’ex vicepresidente del Consiglio sul piano di pace per Gaza: “Trump concreto, il Qatar sarà cruciale. Gli oltranzisti non facciano saltare tutto”
Mentre i principali governi occidentali e arabi si riuniscono dietro il piano trumpiano dei 20 punti per raggiungere la pace in Medio Oriente, e il dibattito pubblico sul tema è infiammato, ci si domanda quale futuro ci sarà per Gaza. Ci sarà la pace, il piano Blair o ancora la guerra? Per meglio affrontare i nodi della questione israelo-palestinese e i suoi effetti sul quadro italiano, abbiamo raggiunto Gianfranco Fini – già presidente della Camera, vicepresidente del Consiglio, ministro degli Esteri ed esponente storico della destra italiana – nel suo studio romano.
Presidente, come valuta il piano di Trump per il Medio Oriente?
«Positivamente. Si tratta di una delle opzioni più concrete emerse finora, e va seguita fino in fondo con scrupolo e attenzione».
Chi potrebbe ostacolarlo?
«Certamente la resistenza di Hamas che sta prendendo tempo, ma anche gli irrigidimenti delle componenti oltranziste del governo israeliano, come quelle di Smotrich e Ben-Gvir. Anche se non credo che quest’ultime riusciranno a fare cambiare l’opinione di Netanyahu, che è orientato a seguire la proposta di Washington in quanto conscio dei rischi di una continuazione del conflitto».
Un risultato positivo per Trump…
«Sì. L’Amministrazione americana, pur con i suoi limiti, si è mostrata capace di affrontare un obiettivo delicato e cruciale, rilanciando con efficacia anche proposte precedenti arabe e inglesi. Poi c’è stato un attore determinante».
Quale?
«Il Qatar, che – dopo anni di sostegno ad Hamas – ha capito che si era arrivati a un punto di non ritorno e ha sostanzialmente richiesto con fermezza un cambio di rotta. Vedremo con quali esiti…».
E l’Italia come si è mossa in questo scenario?
«Meloni ha avuto il merito di posizionarsi in modo netto dalla parte di Israele rispetto all’aggressione e al pogrom di Hamas. Un sostegno senza tentennamenti che si è manifestato con chiarezza e coerenza, pur nella legittima critica delle reazioni sproporzionate dell’esecutivo di Netanyahu. Oltre che mostrando forte sensibilità verso la tragedia dei gazawi».
Come con Kyiv, Meloni ha scelto di stare dalla parte dell’aggredito e non dell’aggressore…
«Certo. Ed è stata la scelta giusta. Va, infatti, ricordato che il 7 ottobre non è stato solo un attentato terroristico, ma un vero atto di guerra da parte di Hamas. A cui Israele quindi ha reagito con una guerra. E a pagare il prezzo più alto sono stati i civili».
Una tragedia che i terroristi non hanno voluto fermare…
«Anzi, Hamas ha usato ostaggi e strutture civili come scudi umani e strumenti della propria propaganda. Rifiutandosi non solo di liberare gli ostaggi, ma anche di riconsegnarne i cadaveri. Anche di fronte alla possibilità di ottenere tramite questo scambio la fine del conflitto. Da qui la reazione di Netanyahu, che ha creato però immagini devastanti e decine di migliaia di vittime civili. E, ferme restando le ragioni di Israele, oggi occorre una via di uscita per fermare questa tragedia umanitaria».
Israele rimane ancora una democrazia?
«Lo è certamente. E lo resta anche se il governo Netanyahu è appeso al sostegno di due forze estremiste con posizioni deplorevoli. Ma nonostante questo, in Israele c’è libertà di manifestare, senza repressioni o ritorsioni di alcun tipo. Oltre alla difesa dei diritti civili. Si tratta di una democrazia in difficoltà, certo, ma viva. Non come la Russia, dove chi dissente viene fatto incarcerare o “scomparire”…».
Cosa ne pensa della causa palestinese?
«Credo che non sia solo giusta, ma sacrosanta. E la storia della destra, di ieri e di oggi, l’ha sempre difesa. Come la difesi, del resto, io sin da quando ero un giovane segretario del Fronte della Gioventù negli anni ‘70. Ma so altrettanto fermamente che Hamas non rappresenta il popolo palestinese: anzi, ne è uno dei peggiori antagonisti. Anche perché il suo obiettivo non è lo Stato palestinese, ma la distruzione di Israele. E lo è da sempre. La sua forza è stata, infatti, fare il gioco dei nemici di Israele come l’Iran, Hezbollah e altri, a discapito dei gazawi. Ma il contraccolpo delle proprie scelte e azioni scellerate è stato devastante. Troppo anche per i propri sponsor esterni. In primis l’Iran».
Come valuta, in questo quadro, la mozione del governo sul riconoscimento dello Stato palestinese approvata alle Camere?
«Positivamente. Il governo italiano ha fatto bene a porre due condizioni chiare prima del riconoscimento simbolico dello Stato palestinese: Hamas fuori da ogni ipotesi di governo, e liberazione immediata degli ostaggi. Una scelta giustissima che unisce solidarietà e pragmatismo».
E sulle astensioni di M5S, Pd e Avs?
«Penso sia un fatto positivo, perché vuol dire che c’è un placet di fondo nell’opposizione. Tale voto, me lo lasci dire, però dimostra anche quanto fossero pretestuose e strumentali le loro accuse (che continuano ancora oggi, tra l’altro…) contro il governo. Così come cortei, scioperi, prese di posizione (esclusivamente politiche) di certa sinistra si sono mostrati sostanzialmente inconsistenti e capziosi, oltre che incapaci di avvicinare la pace di almeno un secondo».
Cosa hanno portato, invece, questi moti?
«L’unico risultato raggiunto finora è stata la continua criminalizzazione dello Stato d’Israele. Favorendo così solo una crescita esponenziale dell’antisemitismo (anche se si tratta di due fenomeni distinti). Promuovere la retorica della Palestina libera dal Giordano al mare, infatti, non fa altro che legittimare l’odio verso il popolo ebraico. Come fanno, ad esempio, la sinistra radicale in Francia e in Gran Bretagna. In pochi sembrano capirlo. I fatti di Manchester dovrebbero in questo senso farci riflettere…».
La Flotilla invece?
«È stata presentata come una missione umanitaria, ma è parso subito chiaro che il suo vero obiettivo fosse rompere il blocco navale, come hanno affermato, del resto, i suoi stessi protagonisti… Rivelando così l’obiettivo propagandistico e polemico di questa iniziativa dietro all’apparente intento umanitario. Un gesto chiaramente politico, estremamente rischioso, se non proprio irresponsabile, che poteva persino far deragliare il processo di pace. Anche se questo rischio sembra per ora essere superato».
Ora cosa manca per un assetto post-conflitto?
«Oggi mancano le figure di riferimento nel mondo palestinese per poter riprendere il tracciato di Oslo. Manca una figura come Arafat. Il vero problema è quello di una classe dirigente credibile e pragmatica che Hamas non può essere».
E Blair come «governatore» di Gaza?
«Fantapolitica. Nessuno lo immagina. Il piano prevede un organismo internazionale, in vista di una gestione collettiva nella fase post-Hamas, che orienti la ricostruzione. Ma non Blair “proconsole”. E anche lui è troppo intelligente per accettare una condizione di questo tipo».
Perché?
«In quanto una gestione occidentale, che sarebbe vista come una deriva neocoloniale. Gaza dovrà essere governata da palestinesi. Il vero nodo è ora a chi fare riferimento soprattutto di fronte all’usura di una certa classe dirigente dell’ANP».
© Riproduzione riservata







