Si dice sia inutile piangere sul latte versato, ma mentre lo si raccoglie dal pavimento è forse utile capire come ci sia finito. La Caporetto del Referendum Giustizia Giusta merita un approfondimento, merita che si vadano a indagare le motivazioni di un’indifferenza così diffusa. Come se la giustizia non ci riguardasse tutti da vicino, come se fosse altro da noi. Solo il 20,9% degli aventi diritto si è recato alle urne per dire sì o no ai cinque quesiti abrogativi. È una percentuale bassissima, ai minimi storici.
«Quando i due quesiti più significativi, cioè quello sul fine vita e quello sulla responsabilità diretta dei magistrati sono stati bocciati dalla Corte Costituzionale – afferma Giuseppe De Angelis, presidente del Consiglio di Disciplina del Distretto della Corte di Appello di Napoli e professore della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l’Università degli Studi di Salerno – indubbiamente la questione è stata trasferita su un piano fortemente tecnico e i quesiti non sono stati proprio compresi dai cittadini o comunque non hanno valutato l’importanza di ciò che gli si chiedeva di votare». Incomprensione, confusione, ma anche errori a monte le cui conseguenze sono arrivate fino a valle. «I quesiti avevano un’efficacia forse più simbolica che concreta, ma la sensazione è che sono stati formulati in modo tale da non investire direttamente i cittadini. O meglio questa è stata l’impressione – sottolinea De Angelis – Certamente i temi più significativi non sono stati oggetto di una votazione e questo ha un po’ depauperato l’interesse del cittadino che non avendo competenze specifiche in materia non si è appassionato e non ha partecipato alla questione».
Il quorum era e si è rivelato una chimera, ma c’è da dire anche che forse era un po’ troppo alto. Fissare la percentuale al 50% +1 era apparsa un’utopia fin dall’inizio. «Sì. E infatti l’altra questione che andrebbe affrontata riguarda il quorum, perché a fronte di quorum che diventano sempre più bassi, perfino nelle elezioni amministrative – commenta De Angelis – raggiungere il 50%+1 diventa veramente difficile come traguardo. Forse si è raggiunto con la preferenza unica e la responsabilità civile dei magistrati ma era un altro periodo storico, c’era un’altra sensibilità culturale». Oggi c’è che si è persa un’occasione per cambiare una giustizia che non risponde ai diritti e alle esigenze dei cittadini e c’è anche un mare di indifferenza che lascia sgomenti.
«Lo strumento referendario resta importante espressione della democrazia e andrebbe rafforzato e rivisto, sicuramente in qualche modo è una battuta d’arresto sul piano simbolico – dice il presidente – ma è altrettanto vero che questa è una battaglia fondata su principi talmente forti che chi si è impegnato per questo Referendum deve continuare a farlo». Un ruolo fondamentale, ma in senso negativo, lo ha svolto anche la politica. «La politicizzazione dei quesiti, il fatto che i partiti ci abbiano messo il cappello forse ha fatto sfumare l’essenza vera del referendum e della necessità di cambiare la giustizia odierna – aggiunge De Angelis – La Lega ci aveva messo la faccia, ma quando il dato referendario passa per l’assunzione di paternità da parte dei partiti, la gente si confonde. Prendiamo per esempio il quesito sulla Riforma del Csm – continua – il senso era: liberiamoci dall’asfissia delle correnti, ma il quesito era troppo tecnico chi leggeva non capiva neanche nei fatti cosa sarebbe cambiato con il sì o con il no, da qui l’indifferenza. I quesiti erano troppo proiettati verso gli addetti ai lavori». È andata.
Ma resta sul tavolo una marea di lavoro da fare per cercare di cambiare lo stato di questo Paese, che è ormai uno stato di polizia e non di diritto. «La giustizia ha bisogno di riforme radicali, profonde e serie. Bisogna continuare ad affermare i principi contenuti nel Referendum – conclude il presidente – C’è stata una bocciatura gravissima, è vero, ma è stata la bocciatura di un sistema non tanto del referendum stesso. Delle democrazie non conosciamo sistema migliore, conta il voto e questa volta il voto si è tradotto in una totale assenza».
