Francesca Albanese, dall’Era dell’Impunità a quella dell’Audience sui social

Francesca Albanese nei suoi recenti post pubblicati su X e Instagram ha più volte sottolineato come di fronte alla tragedia di Gaza, la comunità internazionale, dall’Unione Europea agli Stati Uniti, abbia deliberatamente contribuito all’affermazione di una nuova era, quella che lei definisce “The Age of Impunity”, l’Era dell’Impunità.

Per la verità, la Relatrice Speciale dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, ha più volte scritto e sottolineato nei suoi post la condizione di impunità di cui godrebbero in uno scambio di mutua convenienza le organizzazioni statuali e internazionali, solo che adesso questa è diventata la narrazione ufficiale. Quella più adatta anche alla conservazione dell’audience. Nel post del 19 agosto scorso, ad esempio, scrive: “Israele uccide, tortura e fa morire di fame i palestinesi. Vi sono fondati motivi per ritenere che gli Stati Uniti siano complici di crimini e che gli stati della Ue stiano palesemente violando i loro obblighi internazionali e regionali di proteggere e rispettare i diritti umani, tra gli altri. L’Era dell’Impunità”.

Mentre, il giorno successivo, per ribadire ancor più esplicitamente la presunta correità delle democrazie, Albanese posta quest’altra sentenza: “Nell’Era dell’Impunità, i leader eletti dimenticano il loro dovere: servire il loro popolo, onorare le loro costituzioni, rispettare il loro giuramento. Chi sostiene che “non possiamo sanzionare Israele” – sia per ideologia che per profitto – deve essere ritenuto responsabile. Dai giudici o dal popolo. Questa è democrazia”. L’Età dell’Impunità, però, sembra più che altro un’etichetta adottata per solleticare l’algoritmo dell’indignazione, da dare in pasto al livore digitale che non aspetta altro. Ciò perché anche Francesca Albanese ha compreso molto bene quanto sia indispensabile oggi poter contare su un’audience digitale consistente e, al contempo, quanto sia necessario dotarsi di una strategia di presidio delle piattaforme finalizzata a un costante potenziamento della stessa. Senza una platea digitale disposta a seguirci e ad amplificare i nostri contenuti è difficile e complicato uscire dal flusso del rumore di fondo della rete: essa è funzionale all’accreditamento del proprio ruolo e alla credibilità di ciò che si afferma, a prescindere da tutto.

In un mondo in cui la dimensione della percezione è sempre più potente e arriva prima della sostanza, la patente di autenticità è data anche dal numero di like che i nostri post ottengono o dai follower che seguono i nostri account. È così, volente o nolente, piaccia o meno, ma è una delle conseguenze pratiche che abbiamo ereditato dalla “piattaformizzazione” della società. Francesca Albanese l’ha capito da un po’, tant’è che da qualche mese si è dedicata molto di più che in passato a condividere sui social le proprie idee. Da marzo ad agosto, giusto per dare qualche dato di quanto appena detto, i suoi post pubblicati su X sono aumentati del 160% rispetto al semestre precedente, mentre quelli dell’account Instagram sono cresciuti addirittura del 366%. Parallelamente, sono aumentati di conseguenza anche i follower. In particolare, quelli che seguono il canale Instagram sono più che raddoppiati da fine maggio, passando dai 418.604 a 1.009.110 registrati ieri 22 agosto. Insomma, il passo dall’Era dell’Impunità a quella dell’audience è davvero molto breve.