Gabbie salariali giuste, bisogna tenere conto del costo della vita come parametro

Nel “Si&No” del Riformista  spazio al ritorno alle “gabbie salariali”, il disegno di legge della Lega che prevede di considerare il costo della vita come parametro, oltre a quelli già previsti per legge, nell’attribuzione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti pubblici e privati. Favorevole Massimiliano Romeo, capogruppo Lega al Senato, secondo cui “bisogna tenere conto del costo della vita come un parametro“. Contrario Pietro Massimo Busetta, professore ordinario Università di Palermo, che ribatte: “Con una visione miope si propone una vecchia ricetta rabberciata“.

Qui il commento di Massimiliano Romeo:

Il disegno di legge della Lega riguarda la contrattazione di secondo livello (territoriale e aziendale) e prevede di considerare il costo della vita come parametro, oltre a quelli già previsti per legge, nell’attribuzione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti pubblici e privati. Stiamo sentendo parlare a sproposito di “gabbie salariali”, termine obsoleto che aveva una connotazione negativa. Noi non vogliamo il ritorno a un meccanismo rigido ma, anzi, comprendiamo l’attuale necessità di vedere il lavoro da una nuova prospettiva: quella della flessibilità e dell’adeguamento ai tempi, alle diversità che intercorrono tra i territori, anche nella stessa Provincia, che cambiano le esigenze dei lavoratori. Anche la Banca d’Italia suggerisce che il mondo del lavoro faccia un passo avanti, evitando un approccio puramente retrospettivo, suggerendo un recupero del potere d’acquisto e una crescita più sostenuta della produttività.

In quest’ottica abbiamo proposto una differenziazione dei trattamenti economici accessori, che possono essere così riconosciuti ai dipendenti, valutando anche il diverso impatto che l’incremento dei costi dei beni essenziali ha sui cittadini. Non stiamo parlando di stipendi ma del riconoscimento di un trattamento economico, appunto “accessorio”, che si aggiunge quindi allo stipendio. Oggi il Testo Unico prevede che siano collegati alla performance individuale, a quella organizzativa e all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate, ovvero pericolose o dannose per la salute. Introduciamo con questa norma un elemento nuovo, attribuendo ai lavoratori una somma differenziata in base al luogo in cui ha sede l’azienda, prevedendo per i datori di lavoro privati un credito d’imposta per coprire le spese sostenute. A parità di stipendio, alcune famiglie non riescono ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa perché i costi sono più alti.

Gli indici ISTAT rappresentano nei fatti una grande differenza nel costo della vita in base al luogo in cui si lavora: gli effetti dell’inflazione si fanno sentire di più a Milano e a Palermo rispetto a Bolzano o Noto. Pensiamo a quanti neolaureati o neodiplomati – oggi fino al 30 per cento – rinunciano a lavorare in centro a Roma e Milano perché le retribuzioni non coprono i costi per viverci: contrastare i salari bassi non significa fissare un salario minimo, bensì rafforzare da un punto di vista sindacale i contratti di secondo livello, cosa che facciamo grazie a questi trattamenti collegati al costo della vita.

Nessuna divisione tra Nord e Sud: stiamo riconoscendo una differenza nelle spese sostenute tra una grande città capoluogo e un comune periferico nell’ambito della stessa regione. La Lega ha fatto una proposta. L’auspicio è che questo tema sia approfondito ancora, non solo in Parlamento ma anche fuori, ascoltando esperti, giuristi, sindacalisti, imprenditori ma soprattutto lavoratori da ogni parte d’Italia, guardando effettivamente alla società e alle sue esigenze in un’ottica di crescita e di benessere.