Gaza, gli aiuti umanitari entrano già. La Flotilla provoca e perde l’occasione per sostenere la Striscia

Con le cordate di pro-Pal è venuto il momento di usare il francesismo sdoganato da Attilio Fontana: “Avete rotto il c…”. Con loro non è possibile il confronto; ormai sono portatori di un pensiero unico che impongono con una violenza mediatica che annuncia quella fisica. Come ha affermato il filosofo francese Michel Onfray, “chiunque osi dire che Hamas fabbrica la morte è condannato al pubblico ludibrio”. I pro-Pal hanno scatenato una guerra civile delle coscienze più formidabile di quella delle armi: sacerdoti dell’indignazione designano, classificano, scomunicano. Per loro, “dubitare è tradire. Esaminare è negare. Esigere prove è scendere a compromessi con il nemico”. E il nemico non è più un governo con una maggioranza di estrema destra (che delle libere elezioni possono cambiare), ma tutte le istituzioni politiche e sociali di uno Stato democratico, fino a un’intera comunità, dispersa nel mondo, che rappresenta una percentuale della popolazione del pianeta pari a un prefisso telefonico. Una comunità che ha fatto dell’appartenenza una ragione della propria difesa da persecuzioni secolari e che, dopo l’orrore dell’Olocausto, si è vista riconoscere dall’Onu il diritto a un “focolare nazionale”.

I deliri pro-Pal stanno smentendo un famoso monito di Abraham Lincoln: “È possibile ingannare una persona per sempre e tutti per una volta. Ma non si riuscirà mai ad ingannare tutti per sempre”. Eppure è quello che in tanti stanno facendo. A partire dall’informazione internazionale, che si abbevera alle fonti di Hamas e ha smesso persino di negarlo o di giustificarlo. Quando si verificò l’uccisione dei giornalisti, alcuni dei quali erano sospettati di collateralismo con Hamas (non era comunque un buon motivo per eliminarli), un loro collega replicò che “è impossibile lavorare a Gaza senza aver contatti con Hamas, che non è solo la milizia terrorista del 7 ottobre, ma un governo e un partito”. Nel suo candore, il giornalista non si rese conto di aver ammesso nel contempo che questi “contatti” non garantivano un’informazione oggettiva, bensì una narrazione addomesticata dagli interessi di quel “governo” e quel “partito”, che non sono certamente strenui difensori della libertà di stampa.

Si spiega così l’unilateralità pro-Pal delle cronache di quella tragedia. Si dice che i giornalisti vengono uccisi perché l’Idf non vuole che si racconti al mondo ciò che succede a Gaza, quando sono solo loro a scrivere e a parlare. Magari per dimostrare la loro obiettività potrebbero fornire una prova visiva del cecchinaggio israeliano sui poveracci che vanno a conquistare una tazza di riso, oppure fare un’inchiesta sul mercato nero in cui finiscono gli aiuti umanitari. Houaida Sekri, la presidente di una Ong svizzera, ha fornito elementi che una stampa libera farebbe bene ad approfondire: “Noi praticamente compriamo a Gaza, dove purtroppo non ricevono aiuti gratuiti. Quel poco che entra è tutto a pagamento. Con i miei collaboratori seguiamo i prezzi, vediamo cosa c’è nel mercato e quando scendono acquistiamo i prodotti e poi li distribuiamo”. La rappresentante dell’associazione svizzera non fa nomi, per non correre rischi; visto però che a Gaza governa Hamas, questo mercato non le sarà estraneo e sconosciuto. Il prezzo dei generi alimentari nella Striscia varia tantissimo ed è esorbitante: “In questi giorni – testimonia Houaida Sekri facendo luce sulle cause della carestia – sono riuscita a negoziare sul prezzo della farina, che purtroppo costa da 40 a 100 dollari. Sono riuscita ad acquistarne per 12 dollari al chilo. Questo per me è un grande successo”.

Israele è tra i principali fornitori di aiuti, e ha diritto di pretendere che i rifornimenti non cadano nelle mani di Hamas che li usa per finanziare la guerra. Ed è questo l’avvertimento che il governo israeliano rivolge alla Flotilla. Gli organizzatori avrebbero avuto tante altre possibilità più garantite per far pervenire gli aiuti alla popolazione di Gaza. È evidente che la loro messa in scena è solo un’enorme provocazione da nemici di Israele, disposti a tutto pur di contribuire all’ulteriore isolamento dello Stato ebraico. Che la feccia dell’Europa si ammanti di eroismo è un segno dei tempi. E che gran parte dell’opinione pubblica (influenzando i relativi governi) non sia più in grado di riconoscere gli amici, e finisca per arruolarsi sotto il vessillo dei nemici, è la prova di un “male oscuro” che ha le medesime motivazioni irrazionali che hanno nutrito, nei secoli, la pianta velenosa dell’antisemitismo.