Al telefono con Gianni Riotta mentre attraversa New York, dove l’argomento, nei taxi come nei caffè, è l’ultima creatura di Elon Musk: l’American Party. Un missile destinato non a un altro pianeta, ma a quello – per qualcuno ancora inesplorato – della politica.
Che idea ti sei fatto di Musk? Stavolta fa sul serio o è una nuova boutade?
«Quando analizziamo l’operato del presidente Trump ma anche di Elon Musk, non parliamo di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti. Sono protagonisti di una storia da TikTok: buttano lì una cosa, fanno dei ballon d’essai per vedere l’effetto che fa. Subito dopo dicono il contrario, fanno tutt’altro. Gli analisti, osservatori e giornalisti che guardano alla politica americana continuano ad avere il metro di giudizio del passato. Uno sguardo più tradizionale. Devono entrare nell’ordine di idee per cui una cosa annunciata oggi, domani potrebbe non esserci più e dopodomani, il suo autore negherà perfino di averla mai pensata».
Potremmo quasi coniare un termine: la politiktok…
«Sì esatto, le cose vanno orami lette e interpretare al volo. Può che finisca per avere un’influenza sulle elezioni di midterm, facendo saltare qualche seggio a Trump l’anno prossimo. Ma può anche darsi che tra 15 giorni Musk deciderà di fare un missile diretto a Venere. Nel 2016 Trump vinse le elezioni contro l’iniziale scetticismo di tutti. Guardando al futuro è molto difficile fare previsioni».
A proposito della prima volta di Trump: inizialmente quando si candidò il tycoon disse di voler scendere in campo perché democratici e repubblicani sono uguali: Musk ha semplicemente ripetuto la prima affermazione di Trump, in un gioco di specchi.
«Vero. Ed è vero anche che c’è una grande continuità tra la disruption di Trump e la disruption di Musk. Ma Trump ha cambiato i Republicans, sono diventati un’altra cosa…»
D’altronde il Partito Repubblicano di Trump non è più il Grand Old Party…
«Il Partito repubblicano era quello del libero mercato senza regole, è diventato quello del protezionismo e dei dazi. Era quello dell’interventismo internazionale, è diventato quello dell’isolazionismo. Era il partito della grande finanza e dell’establishment, è diventato il partito populista. Diventato un partito pop-up, un partito TikTok, pronto a cambiare musica ogni giorno».
Ma l’elettore americano dopo anni di intemperie può essere tentato di cercare nuove sponde?
«La nuova sponda l’hanno cercata con Trump. Dal 2016 ci siamo abituati alle continue novità di Trump ma gli studiosi lavoreranno per generazioni per capire come l’avvento di Donald Trump sia stato possibile e soprattutto poi dopo come sia stato possibile il suo ritorno dopo la sconfitta del 2020. Ha prodotto una grande rottura e adesso altri ci si infileranno. Guardiamo a New York, dove sono adesso: la vittoria di Zohran Mamdani alle primarie da sindaco deve far riflettere: Mamdani è un musulmano giovane e socialista, in una situazione normale non avrebbe mai vinto le primarie democratiche a New York. Cosa è cambiato? L’avvento di Trump. Molti, soprattutto giovani, dicono che come i repubblicani si sono buttati a destra con Trump, è giusto per loro buttarsi più a sinistra».
È la dinamica della polarizzazione in cui vincono i radicalismi. E c’è anche un’altra dinamica: quella di vedere anche ringiovanire un po’ sul piano generazionale la politica americana. Trump è un signore di 79 anni, il suo rivale Bernie Sanders ne ha 83.
«Nel 12% di consenso potenziale che viene assegnato al partito di Elon Musk, pesa molto la presenza giovanile. Quel voto nel recente passato è andato a Trump. Anche quello delle periferie, dei latinos, dei ceti più distanti dal miliardario newyorkese. Quando vinse per la prima volta io scrissi che i giovani avevano votato Trump perché è come un idolo del rap: catene d’oro, ragazze, passerelle. Piovvero critiche. Poi Obama scrisse la stessa cosa: quella parte di società legata al mondo individualistico e consumistico vota per Trump per affabulazione, non per scelta politica».
Questo 12% ci ricorda la percentuale del terzo polo anche alle nostre latitudini. Al netto della legge elettorale degli Stati Uniti, si può parlare di un terzo polo americano?
«Il tema è la famosa legge di Duverger, il politologo francese che fece notare come, nei sistemi uninominali, il terzo incomodo serve esclusivamente a svantaggiare chi parte in vantaggio. La candidatura del verde Ralf Nader nel 2000 costò la presidenza ad Al Gore. Quelli che hanno votato Ross Perot nel 1992 hanno fatto perdere George Bush padre».
Alle elezioni di Midterm cosa potrebbe accadere?
«Di tutto, perché si tengono tra 15 mesi. E quindici mesi – di questi tempi – corrispondono a 15 anni. I ritmi già vorticosi della grande politica sono diventati una maionese impazzita con Trump: si è insediato appena il 20 gennaio scorso e sembrano trascorsi anni. Dovevano finire le guerre, sono raddoppiate e Putin che doveva essere ammansito sembra tornato il nemico della Casa Bianca. La guerra dei dazi segna una nuova svolta ogni tre giorni. È stato eletto un nuovo Papa, per giunta il primo americano della storia. Il miglior amico di Trump è diventato nel volgere di pochi giorni il suo principale avversario. Noi in Italia parliamo di Ius Scholae per la terza estate di fila senza che cambi niente, in America nei prossimi 15 mesi è impossibile dire quali e quante cose cambieranno completamente».
