L’accerchiamento è alle porte, perché, per dirla con un luogo comune, tutti i nodi prima o poi vengono al pettine. Da una parte c’è l’Europa che ha lungamente atteso e che ora esaurisce la pazienza, dall’altra c’è il “quasi nemico” di Via Bellerio che si lecca i baffi e che si prepara a gustarsi la battaglia, una guerra di logoramento alla Premier nel caso (probabile) in cui si sottometta ai desiderata di Bruxelles. In mezzo, neanche a farlo apposta, le elezioni europee del 9 e 10 giugno del 2024, resa dei conti complessiva tra la leader dei Conservatori ed il suo vicepresidente che si richiama ad un sovranismo in purezza, modello Marine Le Pen.
Intanto a Bruxelles il countdown è partito, si aspetta fino alla fine dell’anno. Poi il ritardo di Giorgia Meloni sul Mes non sarà più tollerato. La sveglia per la Presidente del Consiglio arriva attraverso una lettera che il Presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe, invia al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in vista dell’Eurosummit di venerdì: “Negli ultimi mesi abbiamo ricevuto aggiornamenti regolari sul processo parlamentare in corso per la ratifica del Trattato del Mes in Italia e attendiamo con impazienza la sua finalizzazione il prima possibile”. Vero che Giorgia Meloni risponde ricordando che il tema non sarà all’ordine del giorno del prossimo Consiglio europeo, ma la presidente del Consiglio è consapevole che stavolta non potrà di nuovo allungare i tempi, come le ricorda sempre il ministro dell’economia Giorgetti. Insomma si avvicina la partita cruciale della destra: la leader di Fratelli d’Italia sa che non potrà più dire no a Bruxelles e che dovrà fronteggiare la rivolta della Lega.
È un complimento insidioso infatti quello che pronuncia il senatore salviniano Claudio Borghi dopo le comunicazioni della Premier nell’aula di Palazzo Madama: “Non accettiamo accordi tanto per fare un accordo, no a qualunque costo, purché sia, stiamo attenti. Nonostante pressioni incredibili per la firma del Mes lei è riuscita a resistere”. Il sottinteso è guai se dovesse ricredersi. I parlamentari della Lega sono pronti ad aspettarla al varco, ed il primo appuntamento utile sarà alla Camera dei Deputati, dove lunedì 20 novembre ci sarà il seguito dell’esame di ratifica del Mes. Una finestra temporale che potrebbe essere utile a Fratelli d’Italia per alleggerire l’arroccamento italiano sul Meccanismo europeo di stabilità.
Naturale che anche le opposizioni si preparino per il big match della destra. “Cos’altro deve succedere affinché questa maggioranza di destra e il governo Meloni tolgano il nostro Paese dall’imbarazzante e scomoda posizione di essere gli ultimi della classe?”, si chiede ad esempio il deputato Pd Piero De Luca, “Ricordiamo che si tratta di una modifica che rafforza le economie di tutti i Paesi dell’Eurozona e che mette in sicurezza in caso di crisi bancarie le famiglie e le imprese, comprese quelle italiane”. Stesse parole e stesso tono usati da Italia Viva e Più Europa. Per il partito di Matteo Renzi, esce prima l’eurodeputato Nicola Danti: “Il tempo a disposizione per Giorgia Meloni in Europa sta per finire, se non approva la riforma del MES entro fine dell’anno saranno guai seri”, poi in Aula il presidente dei senatori Enrico Borghi: “è immaginabile ritenere che ci saranno degli interlocutori che ci chiederanno conto di cosa fare sulla ratifica del MES, un altro banco di prova della reale volontà di cooperazione a livello europeo di questo governo e di questa maggioranza”. Per Più Europa, parlano Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi: “Meloni non puo’ piu’ traccheggiare se non vuole danneggiare l’Italia”. Anche la senatrice di Azione Maria Stella Gelmini mette il dito nella piaga: “L’Europa sollecita ancora una volta l’Italia eppure Meloni in Aula al Senato non ne parla e la Lega plaude alla resistenza del governo”. Uno scenario oggettivamente complesso per Palazzo Chigi tra il macigno dell’Eurogruppo, e le mosse del solito alleato ‘inquieto’ Matteo Salvini
