L’altro giorno su Il Riformista, Andrea B. Nardi ha raccontato la clamorosa confessione resa allo Shin Bet dal portavoce della Jihad Islamica, Tariq Salami Odeh Abu Shlouf. Un uomo che non si limitava a fare il terrorista, ma che intratteneva rapporti regolari con giornalisti di testate come BBC e CNN, fornendo loro una narrazione costruita a tavolino per demonizzare Israele e assolvere Hamas e i suoi alleati. Nardi ha ricostruito un sistema ben oliato di manipolazione dell’informazione, dove le redazioni internazionali diventano megafono di propaganda.

Oggi, un’altra testimonianza – indipendente ma perfettamente coerente – rafforza e allarga il quadro. Matti Friedman, ex giornalista dell’Associated Press dal 2006 al 2011 e oggi opinion writer per il New York Times, ha rivelato di aver ricevuto ordini diretti di cancellare dai suoi articoli dettagli sgraditi a Hamas, dopo minacce rivolte al collega inviato che lavorava sul campo. Il “peccato” di cui si era macchiato? Aver scritto che i combattenti di Hamas si travestivano da civili, alterando così i bilanci ufficiali delle vittime. «Era chiaro che qualcuno lo aveva minacciato. Ho eliminato il dettaglio dall’articolo», racconta Friedman.

Secondo l’ex corrispondente, questa non fu un’eccezione ma la regola: “L’AP, come tutte le sue organizzazioni affiliate, collabora con la censura di Hamas a Gaza. Vedrete molti civili morti e non vedrete militanti morti. I numeri provengono dal Ministero della Salute di Gaza, che è sotto il controllo di Hamas”. Una denuncia pesantissima, che si somma a quella raccolta dallo Shin Bet, e che evidenzia un aspetto chiave: non si tratta di casi isolati o errori di valutazione, ma di un meccanismo strutturato, alimentato anche dal conformismo politico-ideologico di buona parte della stampa occidentale, terreno fertile per la narrazione di Hamas.

Il risultato è un doppio standard pericoloso: sul piano operativo, eserciti e governi di tutto il mondo studiano da Israele tecniche di guerra urbana e di riduzione dei danni collaterali; sul piano mediatico, invece, l’IDF viene trattato come se potesse e dovesse combattere un nemico come Hamas rispettando regole impossibili, mentre le violazioni sistematiche di Hamas vengono minimizzate o, peggio, nascoste. L’impressione che emerge – e che due fonti così diverse e lontane nel tempo contribuiscono a consolidare – è che una parte consistente del giornalismo occidentale non sia soltanto ingenua o mal informata, ma abbia accettato di essere un ingranaggio della macchina di propaganda di Hamas e della Jihad Islamica. Una macchina che, a colpi di fake news, immagini manipolate e numeri non verificati, riesce a orientare l’opinione pubblica globale e a spostare il baricentro del dibattito politico.

Questa è l’arma più potente in mano ad Hamas, e siamo noi occidentali che gli permettiamo di usarla, continuando a leggere ed ascoltare le notizie che ci propinano in modo acritico, senza porci domande anche quando appaiono palesemente assurde.

Paolo Crucianelli

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