Il professor Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi, avvocato penalista e appassionato di politica sin dai tempi in cui era vicesegretario della Gioventù Liberale italiana, guarda al futuro nell’ottica di una razionalizzazione della politica.
Cosa vede, per riordinare il sistema elettorale?
«Germania, Germania, Germania. Un sistema elettorale solido che garantisce il massimo della rappresentatività e al tempo stesso della stabilità. Proporzionale con sbarramento al 5%».
Un sistema alla tedesca anche per dare ai partiti una identità più chiara…
«Riferiamoci alle famiglie europee, altrimenti si crea confusione. Conservatori, popolari, liberali, socialisti, verdi e sinistra radicale».
I riformisti dove stanno?
«In Europa si chiamano liberali. Chiamiamoli liberaldemocratici».
C’è spazio elettorale per loro?
«Sì, lo spazio è quello verificato tra le politiche e le europee, il 7-8%. Farebbe un errore colossale chi ritenesse che quell’elettorato si può spostare su Forza Italia o sul Pd. Se non diamo a quegli elettori un’offerta politica, si rifugeranno nell’astensione. Sono l’elettorato più consolidato: quelli che nella Prima Repubblica votavano Psi, Pri e per i Radicali erano la stessa fetta. Un elettorato, mi consenta di dire, colto…»
Può apparire elitario. Diciamo selettivo, esigente?
«Un elettorato che non accetta di andare a destra, né a sinistra».
Né con il centrodestra, né con il centrosinistra?
«Queste due famiglie non esistono in natura. Cos’è il centrosinistra, negli altri paesi? E il centrodestra? Sono invenzioni del berlusconismo. Falsi storici che ci portiamo dietro da trent’anni».
Dunque il centro esiste. Può esistere autonomamente?
«O esiste autonomamente o non esiste. Poi non è che il centro da solo può avere il 50% dei voti, e d’altronde nel mondo dove li ha? Può presentarsi alle elezioni e prendere i voti, poi deciderà con chi governare. Si è sempre fatto così alle elezioni tedesche, i liberali di Fdp hanno fatto la loro campagna, preso i loro voti e poi verificato di essere più compatibili con il programma di governo al quale era disponibile Scholz, del Spd. Così avviene nelle democrazie europee».
Non va annunciato prima con chi ci si allea?
«Le risulta che in Spagna, Francia, Germania si precostituiscano le alleanze e poi si va a votare? Avviene il contrario, come è logico. Ciascuna sigla dice perché essere votata e dal giorno dopo i partiti, dopo essersi pesati, si parlano per capire se possono esistere convergenze».
Renzi ha detto di voler appoggiare il Pd, di stare nel centrosinistra…
«Ha detto che o si fa un terzo polo oppure la sua collocazione naturale è con la sinistra. La trovo un’analisi corretta. Cos’altro deve dire, o fare? Non si diventa Renzi o Calenda vincendo un concorso. Renzi e Calenda sono due leader di due partiti piccoli, che hanno il 3%, e si sono guadagnati sul campo i galloni del leader. Renzi ha fatto una cosa giusta, visto quello che succede nel campo del cosiddetto centrodestra, ritengo che questa sia oggi la mia unica collocazione possibile».
La sua idea invece qual è?
«Dico che ci vuole un partito liberale unico e non una federazione. Le federazioni non possono esistere: sono come potentati che diventano, con un neologismo, impotentati. Fare un partito unitario è un’altra cosa. Penso a un partito liberale che trae la sua forza dalla sua originalità, dalla sua unicità. Prenderà il 7, l’8%? Con quello sarà in grado di spostare l’asse della politica italiana».
Quali sono le cause della continua scomposizione del quadro polico?
«Nella politica italiana c’è una tendenza disgregativa. Facciamo le primarie noi due? Oggi se io le perdo, me ne vado. E fondo un partito personale. Non può funzionare così. Bisogna fare un salto culturale e dire: si sta uniti, pur litigando. Si prendono i voti insieme, pur avendo idee diverse tra noi. Questa era la forza dei partiti centristi che hanno governato prima della Seconda Repubblica».
Quindi primarie aperte, in autunno?
«Si deve avviare un processo per un partito unitario. Primarie o altro, si vedrà».
Lei si candida a guidare questo processo?
«No. Io darò una mano. La Fondazione Einaudi può dare contributi di idee ma non sarà mai un partito».
Un percorso che incrocia quello di Costa e Marattin?
«Sono due parlamentari bravissimi, tra i migliori della nostra area. E il loro progetto è bello. Ma non ci dicono come raggiungere lo scopo. Marattin è ancora in Iv, Costa in Azione. Prima o poi le loro egregie proposte politiche devono trasformarsi, prendere coraggio e iniziare a camminare con gambe nuove».
