Il Procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, venerdì scorso, all’apertura dell’anno giudiziario, ha chiesto ai Pm di frenare il loro protagonismo. Ha fatto notare che la “comunicazione” di un Pm non può essere regolata dalle norme dello spettacolo, ma deve essere regolata dalle norme del diritto. E dunque non può prevaricare i diritti degli indagati e in alcun modo deve mettere in discussione la presunzione di innocenza. Salvi ha detto che un Pm deve “comunicare” per informare, e non per dare risalto ai propri meriti.
Sono stati pochi pochi gli osservatori che non hanno pensato che il Procuratore generale si riferisse a vari Pm chiacchieroni, ma in modo del tutto particolare a Nicola Gratteri, che recentemente aveva trasformato in un vero e proprio spot la conferenza stampa nella quale aveva annunciato 330 arresti e circa 450 avvisi di garanzia in un’inchiesta che si chiama “Rinascita Scott” e che – aveva spiegato – è stata una tappa importante della sua azione per smontare la Calabria come un trenino Lego. Gratteri si era paragonato a Falcone ed era stato però criticato da diversi suoi colleghi o ex colleghi. In modo durissimo da un monumento della magistratura inquirente come Armando Spataro.
Dal discorso di Salvi sono passati solo quattro giorni e, se non si conta il weekend solo due giorni. Gratteri, al primo talk show disponibile su la7 (“Di martedì”, condotto dal Giovanni Floris) si è subito presentato davanti alle telecamere, facendosi precedere dall’annuncio di un suo libro il libreria, e ha dato vita a un nuovo show. È assolutamente impossibile che nel gesto del procuratore di Catanzaro non ci sia stata intenzionalità, e cioè la scelta di sfidare apertamente e con spavalderia il Procuratore generale della Cassazione. Tu mi dici che non devo dare spettacolo? Io me ne infischio. Per fare bene il mio lavoro, che è quello di moralizzatore della Calabria, io devo dare spettacolo. Non mi ridurrò mai a un burocrate.
Non vi nascondo che mi è difficile parlare e scrivere del dottor Gratteri nascondendo un pregiudizio negativo. E so bene che questo è un limite: un giornalista non deve avere pregiudizi. Mi sforzerò di essere olimpicamente oggettivo e imparziale. Però devo dirvi che ascoltare Gratteri e i giornalisti che lo hanno interrogato mi ha dato un grande dolore. Ho avuto l’impressione che nonostante le sagge parole ascoltate in molti discorsi pronunciati all’apertura dell’anno giudiziario, viviamo ormai in un clima di opinione pubblica assolutamente assuefatto a uno spirito di devastante giustizialismo. E che ormai sta prevalendo l’idea di una società sottoposta all’etica e all’autoritarismo.
Gratteri si è limitato a raccontare il suo punto di vista. Quello di un combattente, non di un magistrato. Impegnato in una terra dove la ‘ndrangheta controlla persino il battito del cuore dei cittadini. Ha detto così. E nella quale non si può essere garantisti come a Milano. Ha detto di essere disinteressato all’appoggio dei partiti e di volere l’appoggio della gente. Ha esaltato una manifestazione che si è tenuta a Catanzaro qualche giorno fa sotto il suo ufficio, per sostenere la sua battaglia e deprecare le critiche che erano state sollevate dal procuratore generale Lupacchini (successivamente stangato dal Csm che ha ritenuto illegittime le critiche a Gratteri).
Gratteri ha spiegato che il suo compito è quello di “liberare la Calabria”. Lui è così, pensa questo. Ha sempre considerato come un fastidio burocratico il ruolo che in realtà gli è stato assegnato dalla legge, che è quello di non liberare proprio nessuno ma di perseguire i reati, con gli indizi, le prove, e riscontri, i testimoni e tutto il resto. Gratteri è una persona limpida: non ha mai e poi mai nascosto o camuffato il suo pensiero e le sue intenzioni.
Il problema è che durante i trenta o quaranta minuti di intervista, condotta da ben cinque giornalisti, Gratteri ha avuto via libera. Ogni sua affermazione è stata sommersa dagli appalusi del pubblico. Neanche un sussurro di dissenso. Nessuno lo ha preso di petto, come avrebbe fatto con un ministro, o un deputato o persino con un assessore, se questi avessero sostenuto tesi e opinioni così evidentemente in contrasto con le regole della democrazia e con la Costituzione. Nessuno ha provato a spiegargli che lo Stato di diritto è un’altra cosa. Che il magistrato non è uno sceriffo, e non è Garibaldi, è un funzionario dello Stato. Che i diritti degli imputati sono sacri. Che arrestare un innocente è una cosa molto grave, per l’innocente e per la società. Che non è vero che il fine giustifica i mezzi. Niente di tutto ciò.
È stato chiesto a Gratteri: cos’è la cultura manettara? Ha risposto che non esiste e che il problema sono i politici impuniti. Gli hanno chiesto cos’è la cultura del sospetto. Ha risposto che è quella cultura che non si fida dei magistrati. Gli hanno chiesto se 1000 arresti di innocenti all’anno non sono un fatto grave. Ha risposto che è un fatto fisiologico. Ma tutte queste cose sono state dette nella più assoluto clima di normalità. L’idea è che Gratteri stesse solo spiegando il punto di vista della giustizia. Nessuno gli ha chiesto se è una cosa normale che in poche settimane il tribunale del riesame abbia trovato errori e annullato o modificato 140 misure cautelari su circa 250 esaminate, nessuno gli ha chiesto come mai recentemente la Corte di Cassazione ha indicato in un suo cattivo pregiudizio (suo di Gratteri) la misura che ha azzoppato l’allora presidente della Regione Mario Oliverio, escludendolo dalla campagna elettorale, nessuno gli ha chiesto come andò quella volta che fece arrestare 200 persone, in una notte, in un paesino di 2000 anime, e poi 192 risultano non colpevoli, nessuno gli ha chiesto se è vero che solo per avere gli atti dell’inchiesta Rinascita Scott (decine di migliaia dii pagine) un povero imputato deve pagare più di 30 mila euro di carte da bollo.
E quando lui ha chiesto ai giornalisti di fargli un caso di magistrati che avevano usato la loro attività professionale per passare alla politica, e il direttore di Libero gli ha fatto i nomi di De Magistris e di Emiliano, lui ha risposto: “solo due”. Per fortuna Da Milano – si proprio il mite Da Milano – gli ha fatto notare che veramente, se non fosse stato per il no secco di Napolitano, lui sarebbe passato direttamente da un posto di Pm a ministro della Giustizia.
Voi dite: niente di nuovo. Gratteri è Gratteri. Vero. La novità – immagino – sta nello scontro che si è aperto nella magistratura. Gratteri, insieme a Davigo, a Di Matteo, a Travaglio (pm aggiunto) rappresenta un settore della magistratura convinto e arciconvinto che l’Italia si salva solo se i magistrati riescono a rimpiazzare la politica. A purificarla e in parte a sostituirla. Finora questa componente (che noi chiamiamo il PPM, partito dei Pm) ha avuto l’esclusiva della rappresentanza della magistratura. E la stessa Anm, e anche il Csm, sono andati al seguito. L’apertura dell’anno giudiziario quest’anno è stato come uno squillo di tromba imprevisto. I magistrati non solo tutti gratteriani. E la reazione è stata immediata. La forza del PPM sta nella capacità di colonizzare i mezzi di informazione. La forza dei suoi avversari sta nel diritto. C’è da essere ottimisti? Beh, no.
