Il Medio Oriente torna a essere un epicentro di tensioni militari e politiche che rischiano di sconvolgere l’intero equilibrio regionale. L’operazione Rising Lion, spesso etichettata come “missione preventiva”, rappresenta in realtà la risposta necessaria e inevitabile di Israele a un’aggressione che da anni si consuma ai suoi confini. Per capire davvero cosa sta accadendo, bisogna andare oltre le apparenze e analizzare con rigore la rete di alleanze, attacchi e minacce orchestrata dal regime iraniano, un attore centrale e destabilizzante nella regione. L’escalation militare tra Israele e Iran non può essere definita tecnicamente una missione preventiva. Nell’era della post-verità è fondamentale fare chiarezza. Il regime sciita degli Ayatollah, che formalmente professa la jihad come resistenza culturale e politica all’egemonia occidentale, ha già contribuito – per procura – al tentativo di annientamento di Israele e della sua popolazione.
Gli attacchi degli Houthi
Il movimento armato sciita Houthi, che controlla gran parte dello Yemen, compresa la capitale, ha sferrato negli ultimi due anni oltre 400 attacchi contro Israele con missili balistici e droni. Lo stesso vale per Hezbollah, milizia libanese sciita radicale che ha lanciato più di 3.000 razzi sul territorio israeliano dal 2020. Infine, Hamas, il terzo e forse più insidioso avversario di Israele, ha lanciato prima del 7 ottobre 2023 circa 10.000 missili balistici in tre anni, con 5.000 in poche ore durante il pogrom iniziale delle ostilità. Questo elenco non è un mero esercizio matematico, ma serve a individuare il denominatore comune: tutte queste organizzazioni terroristiche sono finanziate dal regime iraniano. Quel regime che, nato da una rivoluzione falsa e impropriamente definita “marxista” da molta sinistra, non consente oggi libere elezioni, l’uso libero del web, né la libertà delle donne di studiare, lavorare o vestirsi come preferiscono.
I finanziamenti
Ai tempi dello Scià, per esempio, le donne potevano tranquillamente indossare la gonna; oggi chi porta il velo in modo “improprio” rischia la pena di morte o gravi punizioni corporali. Intellettuali di sinistra, come Federico Rampini, ex cronista de L’Unità, hanno raccontato l’entusiasmo di allora e spiegano oggi le ragioni di quel gigantesco errore, lo stesso errore di chi ancora oggi grida “giù le mani dall’Iran” senza conoscere la storia e la realtà. L’azione militare di Israele contro l’Iran segna uno spartiacque nel Medio Oriente: questo regime pericoloso, finanziatore di morte, potrebbe essere eliminato prima di quanto si immagini. Un regime teocratico osteggiato non solo dall’Occidente e da Israele, ma da gran parte del mondo arabo. Non va dimenticato che poco prima del 7 ottobre, la firma degli Accordi di Abramo tra Emirati Arabi e Israele aveva aperto la strada a un avvicinamento politico ed economico in grado di portare a una distensione storica tra mondo arabo sunnita e mondo sionista, che sostiene il diritto di Israele a esistere come Stato ebraico.
Al regime sciita, però, la normalizzazione dei rapporti è indigesta: ha fatto sua la dottrina dell’annientamento di Israele e spera di vivere abbastanza a lungo da vederne la realizzazione. Di fronte a questa complessità, serve consapevolezza e coraggio. Non basta prendere posizione a favore o contro un regime senza conoscere la storia e la realtà sul terreno. La sicurezza di Israele è un nodo cruciale per la stabilità regionale e per la pace globale. Solo con una lettura lucida e responsabile possiamo sperare di costruire un futuro di convivenza e rispetto reciproco.
