L'intervista
Prezzo del Gas fornito da Algeria e Azerbaijan, Sassi: “Ad oggi conseguenze limitate. Dipenderà dall’aggressività dei nostri competitori”

«Per il momento l’Europa può fare affidamento sulle forniture di gas algerino, azero e di altri Paesi produttori. La crisi iraniana non è come quella russo-ucraina». Francesco Sassi, ricercatore in geopolitica dell’energia all’Università di Oslo, è un attento conoscitore del mercato di riferimento. Come tale, smorza il panico: «Le conseguenze economiche della nuova crisi in Medio Oriente non sono così immediate».
Sassi, a cinque giorni dall’inizio dei raid, il mercato del gas come sta reagendo?
«Al momento si può osservare un comportamento simile alle altre crisi di questi ultimi tre anni (dallo scoppio della guerra in Ucraina, ndr). È una situazione di allerta costante, connotata da un impatto verso l’alto dei prezzi. Tuttavia, mi sembra che le oscillazioni siano molto più contenute rispetto al passato. Almeno questo per quanto riguarda l’Europa».
Come se fossimo abituati alle crisi?
«Non credo che basti un singolo fattore per spiegare le dinamiche odierne. Innanzitutto l’Europa, dal punto di vista del gas naturale, dipende meno dal Medio Oriente rispetto ad altre regioni del mondo. Penso all’Asia, dove le conseguenze di quello che accade in Medio Oriente sono dirette e molto più rilevanti. Cina, Giappone, India e Corea del Sud, nello specifico, sono i massimi consumatori di gas naturale, a livello mondiale. Nonostante noi continuiamo a ripeterci che sia l’Europa il continente più importante».
Quindi l’Europa, dal punto di vista delle forniture, può stare tranquilla?
«A oggi, per noi, le conseguenze sono limitate, ma è chiaro che nel momento in cui il mercato è globalizzato l’Europa, per assicurarsi i necessari volumi di Gnl sul mercato globale, deve competere con gli asiatici, il cui comportamento è segnato dal conflitto israelo-iraniano. Questo impatta indirettamente anche sulla sicurezza energetica europea».
Quindi non è una questione di risorse disponibili, ma di aggressività dei nostri competitor?
«Sì, perché il punto diretto sulla produzione o la disponibilità di gas naturale è la risoluzione a pagare prezzi maggiori in un mercato dalla competizione globale. Queste dinamiche sono molto diverse da quelle che hanno caratterizzato il mercato dei gas in Italia e in Europa fino a pochi anni fa, alla presenza ovviamente di gas russo».
Questo vuol dire che il gas potrebbe essere lo strumento giusto per arrivare a un negoziato?
«Difficile che accada. L’Iran è un esportatore di gas naturale via gasdotti. Tant’è che è privo di impianti per la liquefazione. Le sue risorse circolano verso la Turchia, l’Iraq e altri Paesi confinanti. È uno stato di cose che rende il regime meno interdipendente dalle dinamiche globali, ma, al tempo stesso, lo isola. Nel momento in cui Teheran non può godere dei prezzi del mercato internazionale del gas, che sono sempre molto oltre la media storica, subentra un problema di sicurezza economica nazionale».
La Turchia quanto ci sta rimettendo da questa situazione?
«Per Ankara il problema innanzitutto è geopolitico, non energetico. La guerra Israele-Iran è ulteriore elemento di destabilizzazione del Medio Oriente. Un focolaio gigantesco vicino ai suoi confini. Peraltro, proprio ora che si è chiusa la questione siriana. A questo punto, è probabile l’interesse di Erdoğan ad aprire un nuovo tavolo negoziale».
Mentre come stanno reagendo gli altri Paesi del Caucaso? In particolare l’Azerbaijan, peraltro nostro fornitore di gas?
«Al momento non si può parlare di guadagno diretto da un Iran in guerra. Stiamo riflettendo però di un produttore, come anche l’Algeria, che esporta in Europa senza dover attraversare le rotte critiche. Il Mar Rosso o il Golfo Persico, nello specifico. La catena di fornitura tra loro e noi non è interessata al momento».
Tornando alle forniture iraniane verso l’Asia, una loro compromissione gioverebbe al Gnl Usa?
«È presto per delineare uno scenario del genere che potrebbe realizzarsi solo a seguito della chiusura dello Stretto di Hormuz, da cui passa il 30% del commercio globale di petrolio e il 20% del commercio globale di gas naturale. Una minaccia di cui si parla, ma che nessuno ha realmente avanzato, perché tutti sanno che creerebbe una crisi di tale portata da cui nessuno sarebbe escluso. Nemmeno gli Usa. D’altra parte, un’instabilità di lungo periodo nel Golfo Persico inciderebbe positivamente sul commercio atlantico di Gnl. Questo sì a beneficio degli Usa».
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