I casi di Garlasco, Erba, Brembate, Enzo Tortora: nessuno paga per gli errori giudiziari, il ruolo da decifrare degli ispettori…

©lapresse archivio storico spettacolo televisione anni '80 Enzo Tortora nella foto: il giornalista e presentatore televisivo Enzo Tortora durante la trasmissione Portobello

La cronaca ci sta abituando a vedere “riesumati” vecchi casi giudiziari che ritenevamo archiviati con sentenze passate in giudicato. Era successo per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, così come per i signori Olindo e Rosa, condannati per la cosiddetta “strage di Erba”. In questi giorni a tenere banco è il caso di Garlasco: diciotto anni fa venne uccisa la giovane Chiara Poggi. Il suo fidanzato di allora è stato condannato in via definitiva. Da settimane rimbalzano nomi vecchi e nuovi rispetto alle indagini, si fanno sopralluoghi, si sequestrano (dopo diciotto anni) materiali nelle case dei nuovi indagati. Si cerca qualcosa che allora sfuggì, o che venne sottostimato, o che risultò trascurato nel corso degli accertamenti, così come nella formulazione della sentenza.

Da un lato questo potrebbe dare speranza a coloro che vedono che la ricerca di giustizia non è mai doma. Dall’altro lato sembra lecito – in questo come negli altri casi – chiedersi chi, allora, si sbagliò. Perché alla fine si cerca un errore. Un errore grave, che potrebbe aver condannato un innocente o trascurato la responsabilità di un colpevole. Proprio in questi giorni si sono compiuti i quarant’anni dall’arresto di Enzo Tortora. Condannato in primo grado per una vicenda scandalosamente falsa, costruita ad arte, perseguita ciecamente da una Pubblica accusa inadeguata. Tecnicamente il “caso Tortora” non viene rubricato tra gli errori giudiziari, perché non ci fu mai condanna in via definita, ma “solo” in primo grado, con annessa carcerazione. Si distrusse “soltanto” un uomo, la sua carriera, la sua salute, la sua vita.

Gli errori giudiziari e i responsabili impuniti

Qualcuno si ricorda chi furono i magistrati che fecero quell’errore grossolano? Chi furono i responsabili delle indagini che accettarono supinamente le accuse di un delinquente per incolpare un innocente? Le domande – credo più che lecite – potremmo rifarle anche per i casi di Garlasco, di Erba, di Brembate, se dovessero finire nell’elenco, assai cospicuo, dei casi di malagiustizia. Ne vengono certificati un migliaio all’anno. Qualcuno pagherà – anche solo in termini di carriera – per gli errori commessi? In tutte le attività l’errore è possibile. In certi casi è certamente più devastante, ma l’errore oggettivo dovrebbe trasformarsi in un “più” o in un “meno” nella classifica professionale personale. Ogni volta che si riaprono vecchi casi, o quando emergono sospetti di un inadeguato esercizio dell’amministrazione della giustizia, quasi come un ritornello, le cronache ci dicono che “il Ministero ha inviato gli ispettori”.

Il ruolo degli ispettori ha senso?

Ce li immaginiamo come una pattuglia di pronto intervento, una specie di task force da attivare nei momenti di crisi. Al suono di un campanello di allarme partono per le mete più diverse, indirizzati a svolgere una rigorosa ispezione. Forse vanno a dormire vestiti, per poter essere pronti e tempestivi. Forse – come nelle immagini delle sedi dei pompieri – ci sono quelli che a turno dormono in una sorta di caserma, calandosi dal palo per scendere il più rapidamente possibile verso il mezzo che li porterà sul luogo dell’emergenza. Anche la giustizia, o il ripristino della giustizia, ha bisogno di celerità. Così come le nuove indagini di un crimine compiuto diciotto anni fa giustificano (o così pare) un’irruzione alle cinque del mattino, a casa dei nuovi indagati, così l’arrivo degli ispettori dovrebbe essere rapido e improvviso.

La trasparenza amministrativa è spesso e giustamente invocata. Ma si manifesta a intermittenza. Quando potremo sapere dei resoconti degli ispettori inviati sul campo? Quando potremo conoscere gli esiti dei controlli, delle verifiche, delle “indagini” ispettive? Quando potremo condividere una valutazione circa l’operato di un magistrato inquirente e giudicante? Solo allora le nuove indagini sui gialli vecchi di anni potranno avere un sapore diverso da quelli di una fiction, magari attrattiva, ma sostanzialmente inconcludente per la vita della società civile.