Indignazione IA
I finti ambientalisti se la prendono con l’intelligenza artificiale: ma quanta CO2 consumano mangiando un hamburger?
Confesso: ho commesso un crimine imperdonabile. Ho chiesto a ChatGPT di immaginare come sarebbero invecchiati Lupin III e Pollon. Sono un Gen X e volevo verificare se il tempo fosse passato solo per me. Ho chiesto all’AI di risalire alla loro data di nascita e di dedurre quanti anni avrebbero oggi, ridisegnandoli tenendo conto del loro stile di vita.
Un esperimento nostalgico che ho deciso di postare sul mio profilo LinkedIn, come invito all’uso del cazzeggio quale strumento pedagogico per comprendere le potenzialità dell’AI. Il post è piaciuto: oltre mezzo milione di visualizzazioni e l’attenzione della versione online de La Stampa. Qualcuno l’ha ripreso su altri social. In pochi giorni è diventato quasi virale. Ma apriti cielo! Ho scatenato l’ira dei nuovi guardiani della moralità ambientale: quelli che ti rimproverano per aver “sprecato” energia generando immagini con l’AI, invece di usarla per “cose serie”. Certo della mia colpevolezza e dell’inutilità di questa giustificazione, provo comunque ad argomentare le mie ragioni. O meglio, il mio movente. Io penso che, per imparare ad usare l’AI generativa, serva il cazzeggio. Che sia fondamentale. In questi mesi, molti mi hanno chiesto un’infarinatura sull’AI generativa.
Ho imparato che non c’è nulla di meglio, per iniziare e prendere confidenza, che lavorare su due dimensioni: il cazzeggio e la prossimità. Il cazzeggio, perché la prima cosa che abbiamo fatto quando abbiamo avuto uno smartphone in mano è stata cambiare lo sfondo. Per affermarne il possesso, forse, ma soprattutto per personalizzarlo, stabilire un rapporto. La prossimità, per convincere le persone che hanno già tutte le competenze necessarie e che sia più facile di quello che pensano. Quelli bravi dicono: empowerment. Io dico sempre a tutti che è facile da usare. Che hanno già tutte le competenze. Infatti, è una vita che dialogano, danno indicazioni, impartiscono ordini e verificano che il lavoro sia svolto bene. Questo dialogo oggi si chiama prompt. Tutto qui. L’AI è un partner conversazionale e il cazzeggio è il modo migliore per iniziare. Ed è per questo che mi trovo qui, davanti a voi, vostro onore! In attesa che si costituisca un tribunale ambientale che decida quali attività umane meritino wattora di elettricità e – soprattutto – quali no.
Quanto consuma l’intelligenza artificiale: produce più CO2 un hamburger
“L’AI consuma acqua! Produce CO2! Uccide gli orsi polari!” tuonano dai loro smartphone – dispositivi che, ironia della sorte, usano gli stessi data center che criticano quando parlano di intelligenza artificiale. Ma andiamo ai numeri veri, non quelli che circolano nei threads apocalittici dei social network, quelli della cretineria naturalista. Generare un’immagine consuma circa 4 wattora (a voler esagerare). Per dare un contesto: è l’energia necessaria per tenere acceso il vostro smartphone per mezz’ora. O un millesimo dell’energia che serve per asciugare i panni nell’asciugatrice. Ma il confronto più imbarazzante arriva a pranzo: quell’hamburger che state masticando mentre digitate indignati produce 3.300 grammi di CO2. Per eguagliarlo, dovreste generare 3.300 immagini AI. Praticamente un museo digitale intero. Oggi, secondo alcuni studi, una richiesta a un’AI consuma grossomodo quanto una ricerca su Google. Ve lo ricordate ancora Google? Dai! Quello su cui si cercavano le cose prima che arrivasse Perplexity. Il trucco retorico preferito degli allarmisti è confondere l’addestramento con l’utilizzo. “GPT-3 ha consumato 1.300 megawattora!” gridano, dimenticando di specificare che questo costo colossale è stato sostenuto una volta sola, per creare il modello.
Quando generate un’immagine, non state ri-addestrando il modello, state solo usando un sistema già esistente, con un costo marginale infinitesimale. E già sento il profumo di @Napalm51 al mattino quando leggerà quell’”infinitesimale”. Ma sapete quanti sono? Grossomodo quanto consumiamo in due giorni in Italia per ricaricare tutti i nostri smartphone. Ma forse c’è una cosa che non è chiara: commentare 10-15 post genera la stessa CO2 prodotta per fare la maledetta immagine di Pollon. La vera domanda è: perché questo accanimento selettivo? Perché l’AI diventa il capro espiatorio mentre ignoriamo allegramente che lo streaming di Netflix produce più CO2 di tutti i modelli generativi messi insieme? La risposta sta in quello che gli psicologi chiamano “bias della salienza”: attacchiamo ciò che è nuovo e visibile, non ciò che è davvero problematico. Il bias della salienza, se volete proprio saperlo, è il motivo per cui i riformisti si contano – e si conteranno – sempre sulle dita di una mano. È più facile puntare il dito contro chi genera “cazzate digitali” invece di ammettere che il nostro stile di vita – dalle serie TV binge-watched ai voli low cost per il weekend – ha un impatto ambientale centinaia di volte superiore. L’AI diventa il perfetto bersaglio per l’ambientalismo performativo: abbastanza tecnologica da sembrare minacciosa, abbastanza nuova da non avere lobby consolidate, abbastanza astratta da permettere qualsiasi esagerazione.
Visualizzare le proprie idee
C’è poi un’ironia ancora più profonda. L’AI sta democratizzando la creatività, permettendo a chi non sa disegnare di visualizzare le proprie idee. Un designer professionista che lavora per ore su Photoshop consuma più energia di mille immagini generate con AI. Ma questo, stranamente, non scandalizza nessuno. Forse perché il “lavoro vero” ha una dignità che la curiosità e il gioco non meritano? E chi lo decide cosa è degno e cosa no? Fosse stato per voi, avreste preso a sassate Giotto o Caravaggio perché per imparare a disegnare sprecavano i colori. Ed eccoci al cuore della questione: chi ha stabilito che immaginare Pollon invecchiata sia meno degno di elettroni rispetto a generare report aziendali che nessuno leggerà mai? Questa polizia del purposeful computing è la stessa che un tempo mi rimproverava perché “perdevo tempo” su Internet invece di leggere libri “veri”. È il panico morale che si ripete a ogni innovazione: dalla stampa che avrebbe distrutto la memoria alla fotografia che avrebbe ucciso la pittura.
L’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale
Non sto dicendo che l’impatto ambientale dell’AI sia zero. Sto dicendo che è ordini di grandezza inferiore a quello di attività che consideriamo normali. E soprattutto, che la stessa AI che oggi usiamo per “frivolezze” è quella che sta ottimizzando le reti elettriche, riducendo gli sprechi agricoli e accelerando la ricerca su materiali sostenibili. Ora, è abbastanza evidente che le mie immagini di Pollon non abbiano rallentato questi incredibili progressi. La vera battaglia non è vietare gli usi “frivoli” dell’AI – che andrebbero invece incentivati, perché quello che ci deve preoccupare è lasciare indietro le persone dal punto di vista delle competenze – ma pretendere trasparenza sui consumi reali, incentivare l’efficienza energetica e alimentare i data center con energie rinnovabili. Già oggi, una GPU H100 è quattro volte più efficiente della generazione precedente. Il progresso tecnologico, non la censura morale, è la risposta.
Quanta CO2 consumiamo
Ai nuovi censori del pixel vorrei dire: prima di rimproverare chi genera immagini nostalgiche, guardate il vostro feed Instagram, contate i video di gattini e ricette con il tofu che avete guardato oggi, sommate i chilometri percorsi in auto per comprare il latte biologico. Poi, se proprio volete salvare il pianeta, invece di fare la morale a chi sperimenta con l’AI, unitevi alla battaglia per data center alimentati a rinnovabili e per la trasparenza energetica delle big tech. Perché il problema non è se l’Uomo Tigre invecchiato valga qualche wattora. Il problema è che stiamo usando l’indignazione selettiva come scusa per non affrontare i veri nodi della sostenibilità e delle disuguaglianze che potrebbero derivare dall’AI. E mentre ci scandalizziamo per un’immagine generata, il mondo continua a bruciare – non per colpa di ChatGPT, ma per sistemi ben più radicati e ben meno contestati. Ogni giorno che passa, qualcuno smette di confrontarsi con questa rivoluzione per paura e sceglie – per comodità – di adagiarsi su posizioni come lo pseudo-ambientalismo. Siete liberi di fare come volete, ma non credo che i Savonarola 4.0 faranno una fine migliore della versione originale.
La prossima volta che vedete qualcuno divertirsi con l’AI, invece di fare i censori, chiedetevi: la mia indignazione è proporzionata? O sto solo cercando un capro espiatorio tecnologico per non guardare lo specchio energivoro della mia quotidianità? E ricordatevi pure, per cortesia, cosa avete votato al referendum sul nucleare, che oggi avrebbe come risultato una significativa riduzione delle emissioni di CO2. Nel frattempo, continuerò a immaginare come siano invecchiati i miei eroi d’infanzia. Perché la curiosità umana, anche quella apparentemente frivola, è ciò che ci distingue dalle macchine. E anche da certi ambientalisti da social network.
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