I giorni della Merla non sono i più freddi dell’anno, ecco perché

Perché i giorni di fine gennaio si chiamino della Merla nessuno lo sa con certezza.  Facendo un rapido conto, risultano circa a metà dell’inverno. L’inverno dura tre mesi, circa 90 giorni, quindi il centro è circa 45 giorni dopo l’inizio, il 21 dicembre (che astronomicamente corrisponde al solstizio d’inverno). 45 giorni dopo il 21 dicembre… siamo nella prima settimana di febbraio. Il calcolo è facile, sono 35 giorni dopo Capodanno.  Tuttavia, a dicembre l’alternanza tra le ore di luce e di buio è irregolare. Pensiamoci. Da una parte, sappiamo che il 21 dicembre è il giorno più breve dell’anno ma, dall’altra, conosciamo anche il vecchio detto “il 13 dicembre, Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”… Perché questa contraddizione? Il motivo è che il 21 dicembre è davvero il giorno più breve, ma il 13 dicembre ha una caratteristica: è il giorno in cui il sole tramonta prima. Però… è anche sorto prima! Ecco i dati.

Il 13 dicembre il sole sorge alle 07:50 e tramonta alle 16:27 per un totale di 8:37 ore di luce. Il 21 dicembre il sole sorge alle 07:55 e tramonta alle 16:29 per un totale di 8:34 ore di luce. Perciò il 13 dicembre è il giorno in cui effettivamente il sole tramonta prima, ma il 21 è comunque il più breve, pur se solo di tre minuti. Paradosso risolto. Incidentalmente, questo è anche il motivo per cui si fissa la fine dell’anno al 31 dicembre. L’anno è ciclico, non ha di per sé un inizio e una fine. I cinesi, ad esempio, non fissano il Capodanno una volta per tutte, per loro la data è variabile, come per noi la Pasqua. Il bello è che comunque non cambia niente: l’anno è un rosario con 365 grani (quest’anno 366) e da qualunque punto si comincia a snocciolare, si ritorna allo stesso grano dopo 365 Avemarie. Quindi perché decidere di fissarlo il 31 dicembre? Avrebbe avuto forse più senso fissarlo il 21 dicembre, alla fine dell’autunno, o magari alla fine dell’estate.

La scelta del 31 dicembre è probabilmente dovuta a motivi magici o superstiziosi. Le irregolarità di alba e tramonto, a cui si deve l’apparente questione di prima su quale sia il giorno più breve, cessano il 31 dicembre e l’armonia celeste torna a regnare. Il giorno ricomincia ad allungarsi da entrambe le parti: il sole sorge prima e tramonta dopo rispetto al giorno precedente, anziché fare come pare a lui. Quindi sì, statisticamente i giorni della Merla di fine gennaio sono i più freddi dell’anno. O almeno lo erano. È dall’inizio del secolo che le anomalie climatiche hanno spodestato la Merla e sul trono di Frozen si sono seduti giorni lontani dalla fine di gennaio. Prendiamo lo scorso anno. Gennaio mite, maggio da lupi.

Alcuni hanno tratto la frettolosa conclusione che un maggio tanto freddo fosse la prova che i cambiamenti climatici sono una bufala. E invece era solo la prova che sono stati graziati agli esami di maturità. Certo, alle scuole superiori non si studia la scienza dei cambiamenti climatici, ma si studia che gli eventi atmosferici sono fenomeni complessi, molto complessi. Il motivo è che l’atmosfera è un sistema fortemente correlato, che in fisica vuol dire che ogni sua parte è influenzata da tutte le altre parti. Un po’ come un castello di carte che, quando fai cascare una carta, viene giù tutto. La caduta di una carta provoca la caduta delle altre carte, anche se molto distanti.

Surriscaldamento del pianeta significa che c’è più energia in circolazione e che si possono scatenare fenomeni intensi e contrastanti. Periodi di siccità prolungata, seguiti da piogge torrenziali, ora ribattezzate bombe d’acqua; periodi di caldo anomalo, seguiti da freddo polare. L’origine del surriscaldamento è imputato dagli scienziati dell’ONU, che formano la commissione IPCC, International Panel for Climat Change, all’eccessiva quantità di anidride carbonica rilasciata in atmosfera dalla combustione di materiali organici, primi tra tutti carbone, derivati del petrolio e gas.


L’anidride carbonica è quella che produce l’effetto serra (molto più citato, che compreso). Eppure l’effetto serra lo sperimentiamo personalmente, ogni qualvolta parcheggiamo la macchina all’aperto in una giornata fredda, ma assolata. Immaginiamo di avere una berlina e che accanto a noi abbia parcheggiato il proprietario di una cabriolet. I raggi del sole scaldano la tappezzeria della cabriolet, ma il calore così prodotto fugge all’esterno. Quando il proprietario della cabriolet monterà in macchina, non avvertirà una grande differenza di temperatura rispetto all’ambiente circostante. Quando invece noi entreremo nella nostra berlina, sentiremo un calduccio confortevole. Perché? Anche nel nostro caso i raggi del sole, penetrando attraverso il parabrezza e i finestrini, hanno raggiunto la tappezzeria e l’hanno scaldata. Ma stavolta il calore non ha potuto fuoriuscire, perché l’abitacolo è chiuso, ed è quindi rimasto imprigionato all’interno. L’abitacolo si comporta come un thermos.

Il fenomeno di surriscaldamento dell’abitacolo dovuto al passaggio dei raggi del sole attraverso i cristalli della macchina, e il conseguente imprigionamento del calore che i raggi producono, è il famigerato “effetto serra”. È chiamato così, proprio perché è questo il meccanismo che viene sfruttato nelle serre e che permette di coltivare piante primaverili in inverno. Lo stesso fenomeno si verifica su scala planetaria. L’anidride carbonica presente in atmosfera, crea uno strato che svolge la stessa funzione del parabrezza: essendo trasparente ai raggi del sole, consente che questi raggiungano la superficie terrestre, dove si convertono in calore, ma il calore non riesce penetrare questo strato e a disperdersi nello spazio esterno alla Terra. In pratica, abbiamo messo una cappotta all’atmosfera, trasformando il pianeta, che era una cabriolet, in una berlina.

L’eccesso di calore presente al suolo innesca una serie di processi che coinvolgono tutte le componenti dell’ecosistema, masse d’aria della troposfera e della stratosfera; acque dolci e acque salate; terre emerse coltivate e brulle; ghiacciai terrestri e ghiacciai marini; continenti e isole; latitudini tropicali, fasce temperate e regioni polari. Non si salva nessuno. Però, mentre è facilmente comprensibile che, se c’è molto calore in giro, anche i giorni della Merla possano sembrare giorni di maggio, non è altrettanto evidente il contrario, ovvero che i giorni di maggio possano essere gelidi come (dovrebbero essere) quelli della Merla.

Tutto però appare chiaro se si esamina da dove arrivava l’aria gelida che ha assiderato maggio scorso. L’aria proveniva dal Polo Nord ed era scesa alle nostre latitudini riscaldandosi un po’ lungo il tragitto, ma restando sensibilmente più fredda dell’aria primaverile presente prima del suo arrivo. La causa di questa discesa è un fenomeno chiamato “stratwarming”, riscaldamento stratosferico.
Sopra il circolo polare esiste una corrente di aria che gira intorno al polo nord, formando come una ciambella rotante intorno all’asse terrestre. Questa corrente è solitamente confinata nella regione polare. Disgraziatamente, a causa del surriscaldamento del pianeta, negli strati alti dell’atmosfera polare si genera a volte una bolla di aria calda.

Aria calda in alta quota al Polo Nord! E non parliamo di aumenti di temperatura di qualche grado, ma di decine e decine di gradi. Si sono registrati picchi di aumento di temperatura di oltre 50 gradi in pochi giorni! Questa bolla di aria calda interferisce con la corrente di aria gelida che circola intorno al polo e la scaccia dalla sua sede naturale. Ma siccome siamo al Polo Nord, che per definizione è il punto più a Nord del pianeta, l’unica via di fuga per queste masse di aria polare è verso Sud, alle nostre latitudini. Ed è così che il caldo… può anche produrre il gelo! Nessuna contraddizione, anzi una riprova ulteriore, se si studia bene la fisica.