I numeri ci possono salvare: l’educazione finanziaria da implementare nelle scuole

“Li butti dalla porta e ti rientrano dalla finestra” recita un classico proverbiale e probabilmente ciò vale per le categorie del giuridico e dell’economico, questioni che erroneamente abbiamo delegato ai teorici quando invece sono dimensioni della “pratica” e dunque impattanti sulla nostra vita quotidiana. È il caso dell’educazione economico-finanziaria, una dual-skill troppo a lungo considerata materia per specialisti, e che invece si rivela sempre più necessaria poiché si tratta, semplicemente, di saper gestire il denaro: si tratta di capire come funziona il mondo. 

Nel nostro Paese, questa consapevolezza è ancora debole: il deficit di alfabetizzazione economica e giuridica attraversa ampie fasce della popolazione e si manifesta nei gesti più ordinari: leggere una busta paga, districarsi tra bollette e dichiarazioni fiscali, compilare un modulo online, gestire con lucidità una spesa imprevista. Questa capacità è poi strettamente legata al giuridico e nel rapporto con la pubblica amministrazione soprattutto nel dialogo digitale con la burocrazia.  È un’ignoranza funzionale che produce diseguaglianze, fragilità, dipendenza, e che limita la possibilità stessa di esercitare pienamente i propri diritti di cittadini. Come insegna infatti la costituzione (art. 47) «La Repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese» e quindi l’educazione finanziaria è un insieme di competenze attraverso le quali questo diritto viene tutelato. La nuova dimensione del rapporto con il denaro introdotta grazie alla tecnologia, porta con sé una contraddizione: alla possibilità di agire direttamente e individualmente in economia non corrisponde un’adeguata diffusione delle competenze necessarie, rendendo quindi centrale la formazione economica per operare consapevolmente nelle scelte d’investimento.

Il divario con l’Europa e il ruolo delle famiglie

Il quadro internazionale non aiuta a rassicurare: secondo i dati OCSE, nei Paesi membri quasi due adolescenti su tre (il 63%) possiedono un conto bancario o postale; in Italia, questa percentuale crolla al 37%, e spesso si traduce in una carta prepagata, usata saltuariamente per gli acquisti online. Un numero che fotografa una distanza non solo infrastrutturale, ma culturale, tra i nostri giovani e i loro coetanei europei. A peggiorare la situazione è l’assenza quasi strutturale del tema all’interno delle dinamiche familiari. Una recente indagine condotta da AIEF (Associazione Italiana Educatori Finanziari) rivela che solo il 23% dei genitori parla frequentemente di educazione finanziaria con i propri figli, mentre il 60% lo fa soltanto in modo occasionale. Tuttavia, là dove la scuola è intervenuta con percorsi dedicati, il cambiamento è stato netto: l’88% dei genitori ha osservato un aumento dell’interesse e della curiosità dei ragazzi. E il 70% afferma che la presenza di un curriculum scolastico incentrato anche sull’educazione finanziaria rappresenterebbe un fattore determinante nella scelta dell’istituto superiore.

Una competenza civica, non un tecnicismo

Nel marzo 2024, il Parlamento ha compiuto un passo significativo approvando in Commissione Cultura del Senato, all’unanimità, il disegno di legge “Capitale umano” (legge 21/2024) che introduce l’educazione finanziaria in modo sistematico nella scuola secondaria, integrandola nell’insegnamento trasversale dell’educazione civica. È un passaggio culturale di grande rilevanza, perché sancisce il principio secondo cui comprendere le dinamiche economiche, saper gestire il denaro, conoscere il funzionamento del fisco e del credito non sono più competenze opzionali, ma strumenti essenziali per la partecipazione democratica. Come ha sottolineato il relatore del provvedimento, il senatore Roberto Marti, l’obiettivo non è quello di formare specialisti, ma cittadini più consapevoli, capaci di compiere scelte informate per sé e per la collettività. In gioco non c’è soltanto la stabilità finanziaria individuale, ma il benessere comune, fondato su responsabilità, trasparenza e autonomia. L’indagine ci offre uno spaccato prezioso delle priorità educative percepite dalle famiglie. Al primo posto emerge la necessità di fornire ai giovani strumenti efficaci per difendersi dalle truffe, soprattutto quelle digitali, sempre più sofisticate e pervasive. A seguire, si avverte l’urgenza di educare alla gestione consapevole del denaro personale, partendo da esperienze quotidiane come la paghetta o i primi risparmi, per arrivare alla capacità di pianificare e decidere. Ma ciò che colpisce di più è il desiderio, da parte di molti genitori, di vedere i figli acquisire una visione più ampia del sistema economico: comprendere come circola il denaro, quale impatto ha il consumo sull’ambiente, quale ruolo svolgono le istituzioni finanziarie nella società. Per le scuole superiori, si auspica l’introduzione anche di contenuti più tecnici: strumenti di investimento, concetti di rischio e rendimento, nozioni di previdenza e finanza sostenibile. Non perché si debba preparare un esercito di analisti o consulenti, ma perché è nel saper decifrare la realtà che si gioca la libertà.

Educare alla complessità per restituire fiducia

L’educazione finanziaria, così intesa, non è una materia a sé: è un intreccio di saperi, valori e pratiche. È una forma di pensiero critico, di responsabilità personale, di consapevolezza sociale. È un campo in cui economia e democrazia si incontrano, perché chi non comprende i meccanismi economici rischia non solo di subire le decisioni altrui, ma di perdere la fiducia nella possibilità stessa di incidere sul proprio destino. In un tempo segnato da precarietà, consumismo compulsivo e false promesse di arricchimento istantaneo, insegnare ai giovani a “leggere il denaro” equivale a renderli liberi. Libera è la persona che conosce le regole del gioco, che sa dire di no a un inganno, che distingue un’opportunità da una trappola. E libera è la scuola che non rinuncia alla propria funzione democratica: preparare le nuove generazioni a essere protagoniste, non comparse, nel proprio tempo. 

Non sapere cos’è un tasso d’interesse, oggi, è pericoloso quanto non sapere leggere. Ed educare alla finanza non è formare ricchi: è proteggere cittadini.