C’è un grande malato in Italia che chissà perché viene dimenticato, trascurato, a volte addirittura umiliato. Come conferma il nulla di fatto del vertice tra maggioranza e opposizione ieri a palazzo Chigi. Parlo del ceto medio. Quello produttivo, in particolare. Mentre la Cgil, da più industria e lavoro, passa a chiedere più paghetta di Stato pagata proprio dal ceto medio (mutazione genetica), sfugge a tutti che le grandi nazioni si reggono sulle loro eccellenze, certo. Perciò le si deve promuovere e proteggere, ma si reggono soprattutto su una diffusa, grande medietà. Che significa allestire le condizioni perché sia facile, e potenzialmente per tutti, accedere alle opportunità, anzitutto economiche: avviare un’attività, guadagnare meglio, godere dei servizi garantiti dallo Stato, migliorare la propria condizione, insomma.
È il ceto medio quello che garantisce la maggior parte del gettito fiscale allo Stato spendaccione, quello che più di tutti subisce la redistribuzione all’italiana, dove si parla solo di redditi bassi dimenticando che pagano poche tasse e sono tali anzitutto per l’eccessiva incidenza e invadenza dello Stato stesso, e dimenticando altresì che quella redistribuzione è possibile solo grazie all’alacre contributo del ceto medio che mai compare nelle cronache politiche, ma che è il grande malato che in Italia sta morendo sotto l’asfissia di troppe tasse, troppi lacci da regole burocratiche, troppa approssimazione della giustizia e troppa invadenza di uno Stato che ti assiste male anche nel day by day in sanità (a meno che non si tratti di emergenza, che invece funziona benissimo).
Le partite iva guadagneranno forse una maggiore certezza fiscale (sarebbe un gran bene) ma almeno due milioni di loro (quelle non iscritte a ordini professionali) soffrono l’eccessivo carico previdenziale il cui contributo è obbligatorio del 1995 e che forse andrebbe tagliato e rivisto in termini di libertà di destinazione.
Si discute di tagliare il cuneo fiscale? Bene, ma solo per chi guadagna fino a 35mila euro lordi all’anno. E gli altri, che contribuiscono per il 60% del gettito Irpef di cui beneficia chi guadagna meno di loro, che cosa hanno in termini di riduzione fiscale, di maggior facilità burocratica? Ora il Governo, che essendo di centrodestra il ceto medio dovrebbe averlo a cuore, a differenza di una sinistra “tassalo e spendi” che ne diffida e considera ricco chi si azzarda a guadagnare 60mila euro lordi l’anno, si è però scoperto sensibile alla tenuta dei conti pubblici, ed è a caccia di 30 miliardi con cui mettere a punto una finanziaria (pardon, legge di bilancio) che possa indicare, a differenza dello scorso anno, una direzione tesa allo sviluppo del Paese. Ma non parla di tagliare la spesa pubblica per favorire la tenuta di quel ceto medio che è custode dei destini economici della nazione: è il ceto medio che consuma o contrae consumi e conseguente produzione, dunque occupazione. È il ceto medio che ha una propensione a tirare la carretta, ed è bene che trovi sempre maggior convenienza a farlo, altrimenti a frenare è l’Italia. È insomma la classe sociale chiave, ed è ora che qualcuno la consideri eccome. Altrimenti l’Italia diverrà povera. Non conviene a nessuno.
