Lo Stato d’Israele nasce ufficialmente nel maggio del 1948, dopo la risoluzione ONU n°181 del 1947. Le Nazioni Unite, in seguito alla tragedia dell’olocausto e ai primi conflitti sorti tra le comunità arabo-palestinesi e ebraica scatenati dal mandato britannico del 1939, optarono per la soluzione “dei due Stati”. Il territorio, stretto tra Egitto, Siria, Libano e Giordania, veniva diviso tra una Stato israeliano e uno palestinese. La soluzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tuttavia, non venne mai accettata dagli Stati arabi confinanti che occuparono deliberatamente le porzioni di territorio palestinesi, all’indomani della fondazione dello Stato d’Israele. L’occupazione da parte dei paesi arabi comportò l’inizio di un conflitto con il neonato stato israeliano che si concluse nel giro di un anno. A questo primo conflitto seguirono, per circa 20 anni, altri tre conflitti: La crisi di Suez nel 1956; la guerra dei sei giorni tra il 5 e il 10 giugno del 1967 e la guerra dello “Yom Kippur” nel 1973. Questi tre conflitti, in estrema sintesi, possono essere descritti come la volontà degli Stati arabi di annientare lo Stato israeliano, contrapposta a quella degli Israeliani di resistere per conquistare il loro diritto ad esistere come popolo e come Stato. I tre conflitti videro lo Stato israeliano resistere agli attacchi arabi, vincere sulle armate egiziane e siriane e conquistare territorio. Alla guerra del Kippur, seguirono gli accordi di Camp David nel 1978, dove Israele accettò di ritirare le truppe dal Sinai; sei mesi dopo, con l’intervento degli Stati Uniti, a Washington, fu firmato nel marzo del 1979 il primo accordo di pace arabo-israeliano.
Il presidente egiziano Al-Sadat e l’israeliano Menachem Begin si impegnarono a riconoscere reciprocamente i due Stati; in più Israele si impegnò a restituire territori occupati, in particolar modo la penisola del Sinai all’Egitto. Tale relativo stato di pace, dopo il conflitto in Libano, vide il ritorno ad uno stato di instabilità per Israele. Nei territori di Gaza e della Cisgiordania, le comunità palestinesi diedero vita ad un movimento di protesta definito “intifada” (sollevazione) che si caratterizzò per la partecipazione delle giovani generazioni alla lotta per il riconoscimento dei diritti civili e politici. Le proteste furono caratterizzate da scioperi bianchi e serrate delle attività commerciali; in un secondo momento assunsero forme di guerriglia urbana, dove gli insorti lanciavano pietre contro i soldati israeliani.
Se la prima Intifada poteva trovare sostegno nel marxismo europeo, la seconda Intifada, scoppiata a ridosso del nuovo secolo, vide la nascita di un’organizzazione islamista sunnita denominata Hamas. Hamas, legata a doppio filo alla fratellanza musulmana, ha modificato i connotati della protesta, trasformandola in un vero e proprio Jihâd. Da quando Hamas controlla Gaza si sono susseguiti numerose azioni terroristiche contro Israele che hanno avuto il loro epilogo nel tragico e inumano attacco del 7 ottobre scorso dove terroristi jihadisti hanno massacrato cittadini israeliani inermi. In vero, la soluzione alla questione arabo israeliana non può più reggere sulla risoluzione ONU e sul principio dei due Stati. Ragionare ancora su due stati-nazioni, oggi, appare irrealistico e foriero di inevitabili conflitti dovuti a egoismi personali. La soluzione, forse, è nella lezione che il leader radicale Marco Pannella prefigurò in un articolo del 1988 sul Jerusalem Post: “I confini israeliani possono essere i confini d’Europa e del mediterraneo”. Solo se si abbandona la logica degli Stati nazionali e l’Europa comprende che Israele può essere uno spazio dove lo Stato di diritto può avere alloggio e prosperare e dove la difesa e la sicurezza dei cittadini israeliani coincide con quella di 300 milioni di persone, la pace può essere raggiunta e i territori occupati possono essere lasciti.
L’Europa, che troppe volte, ha lasciato la mano ad altri attori internazionali su questa faccenda, dopo il vile attacco terroristico del 7 ottobre, ha l’opportunità di tornare protagonista nella politica estera in Medioriente proponendo l’unica soluzione possibile: abbandonare la logica degli stati-nazioni e costruire nel Mediterraneo una frontiera di diritti, libertà e democrazia, aggiungendo un’altra stella alla bandiera europea.
