Il coraggio di Salvini, una proposta ardita e saggia

Forse, cosa rara per lui, non ha azzeccato il tempo, ma certamente l’appello di Matteo Salvini a tutte le forze politiche per la creazione di un comitato di salvezza nazionale segna una svolta importante e inaspettata nel nervoso scacchiere politico italiano. Con conseguenze imprevedibili. Oscurato dal bagno di piazza delle Sardine sabato a Roma, lì per lì poco rilanciato sui media – tutti concentrati sui neopartigiani del 2020 – e all’inizio accolto timidamente dalla politica, il predellino del leader leghista ha colto tutti di sorpresa, anche i suoi alleati. In effetti proprio Salvini poche settimane fa aveva smentito il suo braccio destro Giorgetti, che aveva già avanzato una proposta multipartisan, caduta nel vuoto. Ma per qualche ragione Salvini ha cambiato idea: alcuni pensano che si tratti di una mossa puramente tattica, volta a far capire a Conte che la direzione da intraprendere per il Paese la decidono i partiti e non un premier che non ha mai preso un voto (e che lo stesso Salvini detesta cordialmente); altri pensano che sia una ragione semi-tattica, con la quale continua il percorso di “normalizzazione” della Lega, utile a uscire dagli stretti confini del sovranismo tout-court e magari anche dall’oggettivo isolamento internazionale in cui si trova la Lega – a partire dal Parlamento Europeo; altri invece – lo stesso Giorgetti – affermano che si tratti di una scelta strategica, di ampio respiro, fatta per il Paese, atta a superare l’impasse che caratterizza il governo giallorosso e che caratterizzerebbe tutti gli altri governi possibili, in assenza di una condivisione di alcune regole basilari, non ultima la legge elettorale.

Sia come sia, è un’operazione che facilmente può sembrare votata al fallimento. Difficile, infatti, immaginare Salvini al tavolo con Leu o col Pd a parlare di risparmio o di burocrazia. In altri tempi, forse lo stesso Salvini avrebbe gridato all’inciucio. Ma oggi sono tempi addirittura peggiori, in cui non possiamo neanche permetterci il lusso di non sperare. E allora speriamo che questo colpo di scena serva. In verità, al di là della tattica o della strategia, Salvini ha colto perfettamente il momento e identificato la necessità più urgente di oggi: una piattaforma comune di lavoro su alcuni temi o almeno una disponibilità a essa, per salvare e possibilmente rigenerare il Paese, nella speranza che ce ne sia il tempo. Tanto con le contrapposizioni e gli slogan abbiamo capito che non si va da nessuna parte, anzi si va indietro.  Dalle colonne di questo giornale abbiamo chiesto più volte a viva voce un “ravvedimento operoso” dei vari partiti, uno scatto di lungimiranza e di responsabilità oltre le appartenenze, un cambiamento nei modi e nel linguaggio volto a uscire dalle secche di un conflitto sempre più fine a se stesso per sciogliere tutti assieme alcuni nodi ormai incancreniti, che non consentono a nessuno, neppure al più accorto e brillante, di risolvere i problemi.

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Abbiamo sollecitato proprio un lavoro comune su alcune questioni di economia e sviluppo. E questi nodi Salvini li ha elencati, sono cinque: risparmio, infrastrutture, burocrazia, giustizia e tutela della salute. Che potrebbero diventare sei, aggiungendo le politiche femminili.  Il comitato evocato da Salvini dovrebbe condividere le “regole di base” ma potrebbe benissimo concordare una vera e propria spina dorsale di un’azione di governo che, a prescindere da chi si alternerà alla guida del Paese, dovrà vedersi garantita una forte continuità, ingrediente oggi drammaticamente assente dalle scelte strategiche che riguardano il Paese. Non è impossibile trovare un accordo di massima su questi temi. Sul resto, poi, dalla sicurezza alla scuola, dalla difesa alle tasse, dalla cultura all’ambiente, ogni partito porti avanti programmi coerenti con la propria identità e si faccia misurare dall’elettorato. È ragionevole che Salvini, leader del primo partito italiano, abbia preso un’iniziativa di questo tipo. È altrettanto ragionevole sarebbe che le altre forze politiche rispondessero all’appello. A partire da Matteo Renzi, che infatti ha fatto pervenire segnali di apertura. L’affinità, certo non politica ma sicuramente generazionale, fra i due Matteo ha un valore importante, così come la consapevolezza di entrambi che siamo in un momento molto delicato ma anche pieno di opportunità per avviare un percorso di risanamento nel rapporto fra i poteri dello Stato. Risanamento senza il quale non può esserci nessun futuro ma solo caos crescente.

E questa è un’occasione anche per la giovane classe dirigente del Movimento 5 Stelle, obbligata a uscire dall’angolo del proprio ottuso approccio moralistico e teorico se vuole salvarsi dall’uscita di scena definitiva. Anche Forza Italia e Berlusconi, che hanno nel loro dna la concretezza e la capacità di includere e di costruire realtà ambiziose, potrebbero apportare un contributo importantissimo. Ogni forza politica rappresentata in Parlamento avrebbe un interesse a farsi parte attiva in questo percorso. Deve aprirsi una partita generazionale, i 40-50enni di oggi impegnati in politica e non solo devono prendersi la responsabilità di giocare le loro carte e il buonsenso dice che potranno farlo solo scompaginando per un po’ gli assetti che hanno ereditato e scompaginando per un po’ anche se stessi. Non si rigenera la politica se non si rigenerano le persone che la fanno. Cominciamo subito, l’invito parte anche dal Riformista. Basta cominciare a camminare. Poi la strada si trova da sé.