Economica
Il debito del Terzo Mondo: gli stati Africani spendono 75 miliardi ogni anno. Quel grido nel deserto
Fra le numerose eredità di Papa Francesco, c’è anche il tentativo di dare una risposta al problema del debito dei Paesi meno avanzati. In prospettiva del Giubileo del 2025, egli diede mandato ad una Commissione di economisti di fama internazionale di redigere un Rapporto per una Riforma del Sistema Finanziario Internazionale, e per un sostanziale alleggerimento del peso del debito degli Stati più esposti, in genere facenti parte del cosiddetto Sud Globale. Tale Commissione, coordinata dagli americani Martin Guzman e Joseph Stiglitz (ex Premio Nobel per l’Economia), ha terminato i suoi lavori lo scorso giugno, ed ha prodotto un documento ambizioso intitolato The Jubilee Report.
Forse per la difficoltà tecnica del tema trattato, o per la priorità dei conflitti internazionali in corso, o perché il mondo appare al momento poco incline a curarsi dei problemi dei Paesi e delle popolazioni più in difficoltà, fatto è che le conclusioni del Rapporto non hanno suscitato in queste settimane estive una particolare attenzione da parte dei media e della politica. Eppure la questione del debito è di importanza fondamentale, perché da essa dipendono non solo la stabilità e la credibilità dei mercati finanziari internazionali, ma anche le prospettive reali di sviluppo sostenibile di milioni di persone attualmente intrappolate nella povertà o in una grave crisi socio-economica.
Ad esempio, secondo dati dell’African Development Bank, il debito totale dei Paesi africani era pari nel 2024 a circa 1,16 trilioni di dollari (cioè circa il 75% del GDP continentale), che potrebbero diventare 1,30 trilioni di dollari nel 2028; a causa dell’aumento dei tassi di interesse negli anni 2021-2023 dovuto agli effetti del Covid e dell’invasione russa dell’Ucraina, oggi gli Stati africani spendono complessivamente circa 75 miliardi di dollari ogni anno solo per ripagare le scadenze degli interessi maturati sul debito, cioè in media quasi il 15% del loro bilancio statale, più di quanto riescano a destinare alla sanità, o all’istruzione. Di recente, tre Paesi africani (Etiopia, Ghana e Zambia) hanno dichiarato “default”, cioè l’incapacità di pagare i propri creditori pubblici e privati; altri Stati, fra cui Kenya, Nigeria e Sud Africa, le tre principali potenze economiche dell’Africa sub-sahariana, navigano in pessime acque finanziarie e sull’orlo dell’insolvenza.
Mentre da un lato i Paesi meno avanzati hanno obiettive difficoltà a pagare i debiti contratti, dall’altro tendono per quanto possibile a liquidare le scadenze attese, a scapito degli investimenti per la crescita, per timore che una richiesta di ristrutturazione e riscadenzamento del proprio debito innesti automaticamente un loro declassamento da parte delle agenzie internazionali di rating, ciò che implica ulteriori difficoltà o addirittura una impossibilità a ricevere nuovi prestiti. Le proposte di alleggerimento formulate nel Jubilee Report sono molteplici: maggiore co-responsabilità fra creditori e debitori di fronte ad un problema di proporzioni enormi, che riguarda tutti a livello globale; creazione di meccanismi più certi ed affidabili per la gestione delle insolvenze, sul modello dei Tribunali fallimentari nazionali, che invece non esistono sul piano internazionale; creazione di agenzie di rating multilaterali e pubbliche, non espressione del mondo economico privato occidentale; distinzione fra debiti buoni e debiti cattivi (secondo una ricetta enunciata fra gli altri da Mario Draghi), intendendo per buoni quelli strategici, capaci di far crescere la ricchezza e il GDP di un Paese, e come cattivi quelli indotti da valutazioni di pace sociale o comunque di breve periodo (come sostegni pubblici ai carburanti, contributi di disoccupazione, aumenti nel numero degli impiegati dello Stato etc.); maggiore lungimiranza degli Stati cosiddetti avanzati nel finanziare progetti strategici anche a beneficio di Paesi in condizione di illiquidità, ma con buone prospettive di crescita economica nel lungo periodo; sospensione periodica nel pagamento degli interessi dei debiti giunti a scadenza, come avvenuto nel 2020 con l’operazione in ambito G20 denominata Debt Service Suspension Initiative, ed in vigore per circa un anno durante il periodo della pandemia Covid; maggiore ricorso da parte di FMI e Banca Mondiale alla distribuzione di Diritti Speciali di Prelievo, cioè un meccanismo tecnico per l’accresciuta liquidità delle Banche Centrali nazionali; più ampia accettazione delle valute locali per il pagamento di alcuni debiti.
Il Rapporto del Giubileo è stato analizzato anche nell’ambito della Conferenza Internazionale sul finanziamento dello sviluppo, svoltasi a Siviglia dal 30 giugno al 3 luglio scorso, e sarà di ispirazione per ulteriori studi e proposte in ambito Nazioni Unite. Un rilievo critico di alcuni osservatori è che la Commissione di esperti voluta da Papa Francesco è stata composta soltanto da accademici ed economisti, senza l’apporto di politici, diplomatici, opinion maker, giornalisti, gestori di fondi e banchieri, che avrebbero forse conferito un maggiore realismo alle proposte enunciate. Il rischio infatti è che in un mondo sempre più “muscolare” e ispirato da puri rapporti di forza fra le maggiori potenze, la richiesta di creare ulteriori meccanismi multilaterali, teoricamente imparziali, per la gestione del debito dei Paesi meno avanzati sia considerata alla fine una sorta di vox clamantis in deserto, malgrado l’indubbia gravità delle questioni sul tappeto.
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