E’ tornato a vincere un Mondiale a distanza di 31 anni (trionfò nel 90′ e nel 94′ con la nazionale italiana maschile). Julio Velasco, 73enne di La Plata, non ha bisogno certo di presentazioni. Dopo l’oro olimpico di Parigi dello scorso anno, ha portato le ragazze del volley sul tetto del mondo a Bangkok. Una gestione magistrale la sua: ha ridato fiducia e serenità ad un gruppo di assoluto talento che l’anno prima delle Olimpiadi era smarrito, diviso, spaccato dalla gestione Davide Mazzanti.
Velasco e quel “dobbiamo menare”
Una cavalcata non senza difficoltà, con l’Italia che ha battuto al tie-break prima il Brasile in semifinale e poi la Turchia guidata dall’italiano Daniele Santarelli. Una finale, trasmessa domenica pomeriggio, 7 settembre, su Rai 1 – che ha ottenuto il 33% di share con 4 milioni e 123 mila telespettatori. In queste ore è diventato virale un video che riprende il time-out dell’Italia con l’allenatore argentino che invita le sue giocatrici ad attaccare con decisione: “Non facciamo tanti pallonetti, dobbiamo menare”. Poi lo stesso Velasco, intervistato da Repubblica, spiega il segreto del successo: “Grande temperamento, personalità, capacità di non mollare contro chi sta giocando meglio. Quel che abbiamo fatto”.
Velasco: “La normalità è la sofferenza, la vittoria non comoda”
Perché la vittoria netta dello scorso anno contro gli Stati Uniti “è l’eccezione”. La normalità invece “è un finale equilibrato, la sofferenza, la vittoria che non è comoda. Di questo – spiega Velasco – ho sempre parlato con le ragazze, quando dicevo ‘giochiamo per vincere 30-28 al tie-break’. Però noi abbiamo sempre la stessa cultura”. Parole che anticipano il solito ‘protocollo‘ italiano quando sono in corso eventi sportivi: “Quando vinciamo sembra che sia un obbligo, ci montiamo la testa. Se perdiamo non c’è più niente di buono, il paese è una porcheria, non ci sono giovani, infrastrutture”. E ricorda: “Quando ho vinto il primo Mondiale nel ’90 abbiamo battuto il Brasile 15-13 al tie-break, poi la finale con Cuba perdendo un set. Il punto di riferimento non poteva essere un’Olimpiade in cui tutto è andato liscio”.
Velasco: “Credo nei giovani, sbagliato dire ‘noi eravamo meglio di voi'”
Quando Mattia Chiusano, giornalista di Repubblica, gli chiede “Ha parlato dei giovani: come ha fatto un nonno 73enne senza social ad adattarsi a un gruppo di ragazze molto smart?”, arriva la fotografia del Paese Italia secondo Velasco: “Si parla sempre male dei giovani. Come facciamo a rapportarci con i giovani se continuiamo a dirgli ‘noi eravamo meglio di voi’ ‘noi giocavamo col cavallo di legno e voi state sui social’? Se me lo avessero detto a 18 anni li avrei mandati a quel paese. I giovani sono diversi perché vivono in un mondo diverso. Io ho sempre avuto fiducia in loro, nelle mie figlie, nei nipoti, nei giocatori: anche nella mia squadra ammiro la capacità d’adattamento e la voglia di lavorare. Queste ragazze sono state favolose: come avevo chiesto, si sono comportate come una squadra che aveva perso, non vinto a Parigi”.
Velasco e la gestione delle donne
Velasco ripercorre anche la sua maturazione rispetto ai due Mondiali vinti negli anni Novanta: “Ero più incazzoso, emotivo, ora mi vedo più esperto, saggio se vogliamo. Se un allenatore è più esperto ed è ancora motivato, secondo me è più bravo”. Da qui l’analisi, che non fa una piega, del rapporto creato con le sue giocatrici: “Le donne vanno gestite in modo diverso. Ho riflettuto molto, studiato. Le donne si preparano, non ho mai avuto una compagna alle superiori che si presentasse a un esame senza aver studiato. Gli uomini magari preferivano giocare a calcio. Questo gruppo possiede queste caratteristiche all’ennesima potenza: la capacità di imparare, lavorare, essere autonome ed autorevoli come chiedevo dal primo giorno. Cioè, saper fare quel che serve in campo, senza un allenatore che le consideri giocattoli, ma sia come un genitore che insegna al figlio a essere indipendente”.
Legato da un contratto con la federazione fino alle Olimpiadi di Los Angeles del 2028, il manager argentino vuole solo godersi il momento: “Los Angeles la vedo così lontana, non è nella mia agenda, ma sul mio contratto. Ora ho un grande progetto: non fare niente”.
