Il governo barcolla tra Mes, decreti in scadenza e duelli perenni: le capriole e l’incoerenza della politica

Come se ne esce? Bella domanda. Probabile un nuovo rinvio, a settembre. Poi si vedrà. Di sicuro non cade il governo per la ratifica del Mes”. Voci di big di maggioranza – Tajani, Mulè, Molinari, Romeo – in un venerdì a Parlamento quasi chiuso. I deputati si contano su una mano alla Camera. Non pervenuti i senatori.

Il Mes, si diceva. La domanda che torna è, appunto, come se ne esce. A bocce ferme, dopo 48 ore sulle montagne russe e di grande freddo la situazione è la seguente: il 30 giugno, venerdì prossimo, andrà in aula il testo delle opposizioni, Pd, Iv-Azione, PiùEuropa, votato giovedì in Commissione Esteri in assenza del governo e della maggioranza che hanno deciso di non metterci né la faccia né il voto. Un comportamento di cui esistono pochi o zero precedenti. Il Mes (Meccanismo europeo di stabilità), è una sorta di assicurazione europea per i sistemi bancari dei singoli stati dell’Unione. Nella sua nuova riformulazione – approvata ai tempi del governo giallo-verde, dunque Conte-Salvini – è già stato firmato anche dall’Italia che però è l’unico paese dei 27 che non l’ha ancora ratificato. Senza la ratifica di Roma, il Mes non può funzionare per nessuno. E questo sta irritando molto Bruxelles e dintorni.

Nonostante Conte e Salvini ne abbiano curato, quando erano a palazzo Chigi, le correzioni, appena lasciati gli incarichi di governo hanno dichiarato guerra al Mes. Posizione che i Fratelli d’Italia, sempre all’opposizione, hanno mantenuto negli anni trasformandolo in una delle tante bandierine identitarie. Le capriole e l’incoerenza della politica oggi fanno sì che Giorgia Meloni, che sta costruendo la propria trasformazione da leader di una destra antieuropea a statista liberal-moderata, si sia abituata all’idea che il Mes vada in qualche modo ratificato usandolo però anche come moneta di scambio con Bruxelles sui tanti tavoli aperti, dalle rate del Pnrr alle modifiche dello stesso Pnrr, dalla maggiore flessibilità nelle regole del nuovo Patto di stabilità allo scomputo degli investimenti green e digital dal debito e dal bilancio.

Al contrario Salvini, nel suo perenne duello con la Giorgia, mantiene un categorico no al Mes sapendo così di mettere in difficoltà la premier. E anche il suo ministro economico, Giorgetti, che sotto pressione dagli altri ministri Ue e d’accordo con la premier, ha inviato la lettera “tecnica” alla Commissione Esteri (dove è incardinato il provvedimento per dire sì o no alla ratifica) per dire che il Mes non comporta maggiori oneri e rafforza i nostri Btp. Si chiama gioco di sponda. O ricerca di alibi.

C’è un’altra capriola, clamorosa tanto-quanto: i 5 Stelle che dovrebbe fare tutt’uno con il Pd nel campo largo, hanno detto che voteranno contro la ratifica del Mes.
Se è sopraggiunta una terribile emicrania cercando di seguire il filo di questo teatro dell’assurdo, potete ben capire quanto il dossier sia delicato in funzione della stabilità del governo e della maggioranza. Il punto è appunto come uscire da questo cul de sac con il minor danno possibile. Per la maggioranza. E per il Paese.

Ci sono tre ipotesi.

La prima: il 30 giugno sarà chiesto e votato a maggioranza l’ennesimo rinvio. Bruxelles non gradirà e questo, poiché sarà in corso il Consiglio Europeo (29-30) non ci aiuterà sui vari dossier, Pnrr, patto di Stabilità e, soprattutto, immigrazione. Su sbarchi ed arrivi le promesse sono tante, i fatti pochi e l’estate sarà caldissima per il nostro sistema di prima accoglienza. Il resto, quello che dovrebbe venire dopo come alloggi, corsi di lingua, inserimento, non c’è più da tempo.

La seconda ipotesi, remota ma tecnicamente possibile: la ratifica sarà messa ai voti, la maggioranza non entrerà in aula e la ratifica passerà con il voto di Pd-Iv-Azione- + Europa, Autonomie e il voto contrario dei 5 Stelle. Un suicidio d’immagine per maggioranza e governo che però si levano il dente dolente del Mes e potranno dire: “Ha deciso il Parlamento che è sovrano”. Anche questo suona un po’ ridicolo visto che ormai lavora una sola Camera e l’altra dà l’ok a testi blindati.

La terza ipotesi è molto residuale: il Mes viene votato con allegato un ordine del giorno che impegna il governo a non utilizzarlo e a vincolare al voto del Parlamento ogni decisione in merito.
Risolta o rinviata la questione Mes, la larga maggioranza avrà un mese di luglio al calor bianco. Ci sono infatti ben cinque decreti leggi che devono essere convertiti entro la pausa estiva, tutti incardinati in prima lettura alla Camera, destinati a voto di fiducia e al “solito” passaggio formale e frettoloso al Senato.

E a palazzo Madama l’incidente “causa aperitivo” che ha mandato sotto la maggioranza sul decreto Lavoro, dimostra come i numeri siano sempre sul filo. Bastano 4-6 senatori bizzosi, che vogliono mandare messaggi al governo, e la maggioranza non c’è più. Si tratta del decreto Enti pubblici che contiene misure per la Sanità ma non risolve certo il problema di ospedali e medici di base. Ennesima occasione sprecata? Il testo è stato approvato alla Camera, va al Senato e deve esse convertito entro il 10 luglio.

Subito dopo arriva il decreto “Pnrr, energie”, il numero 67. Poi c’è il decreto alluvioni (n.61, per l’Emilia Romagna ancora senza commissario), il decreto Pubblica amministrazione 2 (il n.75, quello ribattezzato l’assumificio ma non di tecnici per i comuni e per il Pnrr). C’è anche il salva-infrazioni che mette insieme un po’ di scuola e di sanità e di giustizia.

Ammesso e non concesso che il governo riesca a fare percorso netto nell’iter di conversione di questi cinque decreti e ad andare in vacanza senza ulteriori scosse, resta l’incognita Daniela Santaché. Dopo il servizio di Report che ha messo in fila lo stato patrimoniale e gestionale della donna d’affari ora ministro, ieri sia Forza Italia che Lega hanno chiesto che la ministra venga in aula a spiegare. Il chiarimento sarà chiesto entro l’estate? Nel caso avverrà a Palazzo Madama poiché Santanché è senatrice. In caso di mozione di sfiducia, toccherà contare bene sul pallottoliere. Non tira una buona aria. E qualcuno, tra i parlamentari di maggioranza, ipotizza che sia la premier in persona ad aver fatto scattare il conto alla rovescia per la ministra del Turismo.