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Il grande ritorno, l’effetto Trump sta cambiando il mondo: la stimolante analisi nell’ultimo saggio di Sapelli
Giulio Sapelli in questo suo recentissimo “Il grande ritorno – La nuova era di Trump” (Guerini e Associati) pesca a piene mani nella sua vasta sapienza analitica per cercare di enucleare alcuni punti fermi di una situazione mondiale caotica forse come mai prima. Non è un caso, ma una felice intuizione che Sapelli s’interroghi innanzitutto sulla guerra dei dazi del presidente americano Donald Trump, questione quanto mai attuale: «La sconcertante vicenda dei dazi commerciali non è che un sintomo febbrile di una malattia del sistema culturale del capitalismo mondiale che sarà penosa e devastante». Non c’è da essere allegri, anche perché «la guerra commerciale tariffaria è sicuramente uno strumento con cui gli Usa credono di invertire la tendenza ormai irresistibile del declino americano». Per di più – osserva l’autore – «non siamo nella possibilità di comprendere con quanta forza le misure commerciali degli Usa colpiranno i vecchi alleati, ma è mia convinzione che questa certezza non la si avrà mai, perché questa imprevedibilità, questo tremore che si vuole diffondere, è la vera cifra che gli Usa vogliono imprimere al loro dominio sul mondo».
È una vicenda dolorosamente emblematica, proprio per la sua impossibile decifrazione da cui si può ricavare l’idea, certo tagliando un po’ con l’accetta una disamina così complessa, che il mondo sia entrato in una fase anarchica, nel senso della mancanza di un senso chiaro della storia. In fondo, Trump è l’effetto più clamoroso di una congerie di contraddizioni venute dopo il disfacimento del vecchio ordine post-Yalta. Sapelli ricapitola con dovizia di riferimenti saggistici e disincantato sguardo storico il contestuale crollo del comunismo, il declino americano e la crisi dell’ordine post-socialdemocratico degli anni Novanta: senza – questo è il punto – che, gramscianamente, a un vecchio ordine morente seguisse la nascita di uno nuovo. D’altronde, «la decadenza delle classi politiche è un fenomeno mondiale e contro di essa interi gruppi sociali appartenenti ai più diversi ceti e alle più diverse nazioni si sono posti in marcia in rivolte che assumono molteplici forme».
Rivolte di tipo nuovo, diremmo. Forse che il trumpismo non è l’espressione di una rivolta morale contro il precedente paradigma americano? Nelle complesse pagine del saggio, Sapelli dissemina spunti di analisi sul trumpismo, questo improvviso e violento superamento di ogni concezione liberale, portatore di «un nuovo capitalismo ad alta leva finanziaria e a torsione neo-imperialistica»: è un momento brutto, questo, e «chi non ha i mezzi materiali per isolarsi da questo mondo che incombe e rifiuta la storia, la civilizzazione, l’umanesimo, non ha che una risorsa: votare le varie forme di trumpismo che crescono come funghi alla base delle vecchie querce che si abbattono a colpi di politically correct». Su questa base, il voto al tycoon «è dettato dalla disperazione e dall’angoscia», in primo luogo da parte «dei diseredati e dei perdenti dinanzi al progredire del capitalismo finanziarizzato e iper-tecnologico»; e per Sapelli, «non poteva che andare così».
In un quadro dominato dalle guerre guerreggiate e da quelle commerciali, lo spazio per la politica pare ridursi al lumicino. «La distruzione dei partiti continua senza sosta e l’emanazione di leggi grazie alle regole costituzionali adatte per uno Stato d’eccezione prosegue, con il distacco crescente dei cittadini dalla partecipazione elettorale, mentre la politica vede ormai primeggiare quella conservatrice e delle forze di destra moderate ed estreme che si stanno raggrinzando – nella continua proliferazione di gruppi di “caciqui” personalistici raccolti attorno a capi dotati di capacità di manovra sempre più ampia».
Inutile sottolineare che il sistema tecnocratico della Ue (la «burocrazia celeste») appare incapace di reggere la sfida di questo aggrovigliato passaggio storico. Mentre l’Italia «pensa di dover svolgere un ruolo superiore alle sue forze»: qui si coglie una nota dello scetticismo sapelliano, che però lascia inevitabilmente in sospeso la questione del ruolo e del futuro del nostro Paese nel mondo nuovo e terribile che avanza.
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