Il Papa in Turchia nel luogo del Concilio di Nicea: “La forza della Chiesa è nella logica della piccolezza”

Pope Leo XIV is flanked by Turkish President Recep Tayyip Erdogan as he arrives at the Presidential Palace in Ankara, Turkey, Thursday, Nov. 27, 2025. (AP Photo/Domenico Stinellis) Associate Press/ LaPresse Only Italy and Spain

Papa Leone XIV ha iniziato il secondo giorno del suo primo viaggio apostolico a Istanbul nella Cattedrale dello Spirito Santo, incontrandosi in preghiera con vescovi, sacerdoti, diaconi, operatori pastorali e clero cristiano. Al termine dell’incontro Papa Leone ha recitato il Padre Nostro in latino con il “piccolo gregge di Turchia”, come ha definito la comunità cristiana di Turchia.

Continui sono stati i richiami del Papa all’unità dei cristiani e nella seconda giornata della sua missione ha avuto un programma religioso e culturale molto intenso. Ci sono due punti importanti di questo viaggio che riguardano centinaia di milioni di cristiani in tutto il mondo.
Il primo è stato rappresentato dalla cerimonia di commemorazione dei leader cristiani del primo Concilio avvenuto a Nicea, oggi Iznik, nel 325 d.C., 1700 anni fa, dove furono condotti studi biblici per l’unità dei cristiani e dove fu adottata la dottrina trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Oltre alla confessione cristologica, il Concilio di Nicea si occupò di questioni disciplinari e canoniche, che, presentate in venti canoni, offrirono una buona panoramica dei problemi e delle preoccupazioni pastorali della Chiesa all’inizio del IV secolo. Si tratta di questioni che riguardano il clero, i conflitti giurisdizionali, i casi di apostasia e la situazione dei Novaziani, i cosiddetti “puri”, e dei seguaci di Paolo di Samosata.

La questione pastorale più importante e insieme più attuale è quella della data di Pasqua, già oggetto di controversie nella Chiesa primitiva perché esistevano datazioni diverse: alcuni cristiani, soprattutto in Asia Minore, celebravano sempre la Pasqua in concomitanza con la Pesah ebraica il 14 del mese di Nisan (aprile), indipendentemente dal giorno della settimana; per questo, sono stati chiamati quartodecimani. Altri cristiani, soprattutto in Siria e in Mesopotamia, celebravano invece la Pasqua la domenica successiva alla Pesah ebraica; a loro è stato quindi dato il nome di protopaschiti.

In questa difficile situazione, il merito del Primo Concilio Ecumenico di Nicea fu aver trovato una regola uniforme con questa espressione: “Tutti i fratelli e le sorelle d’Oriente che fino ad oggi hanno celebrato la Pasqua con gli ebrei, d’ora in poi celebreranno la Pasqua in accordo con i romani, con voi e con tutti noi che l’abbiamo celebrata con voi fin dai primi tempi”. Benché gli atti originari di questo Concilio non esistano più, rapporti successivi documentano che esso impartì uno slancio decisivo alla ricerca di una data comune di Pasqua tra tutte le comunità cristiane dell’impero in quel momento, stabilendo come data per la celebrazione pasquale la domenica successiva al primo plenilunio di primavera.

La partecipazione alla messa che sarà officiata oggi, sabato 29 novembre, da Bartolomeo presso il Patriarcato greco di Costantinopoli, seguita dalla firma della “Dichiarazione di unità ecumenica”, segnerà una tappa significativa nell’iniziativa per l’”Unità dei cristiani”, per superare il Grande Scisma tra la Chiesa occidentale (cattolica) e quella orientale (ortodossa), almeno questa è l’aspettativa. Prima del suo viaggio, il Papa aveva espressamente affermato che la visita a Nicea era “un’opportunità eccezionale per promuovere l’unità dei cristiani”. Con la firma di questa dichiarazione, il Vaticano riconoscerà nuovamente, dopo secoli, il leader spirituale ecumenico, o mondiale, della Chiesa greco-ortodossa.

A Istanbul, in Turchia, ci si aspetta dunque che venga compiuto un passo importante verso l’unità dei cristiani. La visita del Papa aiuta la Turchia a proiettare un’immagine di tolleranza religiosa e a mettere in luce posizioni condivise con il Vaticano su questioni come Gaza. Ankara formalmente tutela la libertà religiosa, ma nei fatti le minoranze non islamiche, anche tra quelle musulmane, hanno pochi spazi pubblici. Il governo turco sta cercando di resistere alle tensioni di lunga data relative alla persistente chiusura del Seminario di Halkı e allo status ecumenico del Patriarcato greco, che continuano a suscitare l’insofferenza internazionale. L’amministrazione statunitense pone sempre più enfasi sull’identità e sul simbolismo cristiano, sia nella politica interna che in quella estera, i momenti di grande visibilità del papa in Turchia avranno dunque un peso diplomatico notevole.

Il Papa non visiterà la Basilica di Santa Sofia, trasformata in moschea nel 2020, come invece avevano fatto tutti i suoi predecessori. I rapporti tra Papa Francesco e Ankara diventarono tesi proprio per la conversione della basilica bizantina del VI secolo, trasformata in un museo dopo la fondazione della moderna Repubblica turca laica. “Il mio pensiero va a Istanbul. Penso a Santa Sofia e provo grande dolore”, disse all’epoca il defunto pontefice. Il programma ufficiale di Papa Leone prevederà invece visita alla Moschea Blu dove è previsto che farà una preghiera assieme alla massima autorità islamica della Turchia, il presidente degli Affari religiosi Safi Arpaguş. Anche così il Papa esorta alla tolleranza.