Il PD scarica Mogherini. Schlein, addio garantismo: con Giuseppe lo “spazzacorrotti” solo impulsi forcaioli

Chi è Federica Mogherini? È la domanda che da giorni turba i sonni di Elly Schlein, nonostante qualcuno dei suoi collaboratori le abbia certamente raccontato gli incarichi prestigiosi che ha ricoperto grazie alla militanza nel Pd: deputata per due legislature, ministra degli Esteri nel governo Renzi, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, vicepresidente della Commissione Juncker. Già, ma che importa?

Il precedente del Qatargate non fa dormire sonni tranquilli

Ora si è dovuta dimettere dalla guida del Collegio d’Europa, un prestigioso istituto di formazione post-universitario, perché coinvolta in un’indagine sull’appropriazione indebita di fondi europei. È stata perfino arrestata su ordine degli inquirenti di Bruxelles, anche se subito rilasciata dopo un interrogatorio di dieci ore. Attenzione Elly, si dice che le abbia sussurrato in un orecchio qualcuno della segreteria: sono gli stessi magistrati dello scandalo Qatargate prima, di quello Huawei dopo. Due flop clamorosi, seguiti dall’ammissione di imperdonabili errori investigativi. Sarà, sembra che abbia risposto Elly, ma meglio stare zitti e buoni. E se fosse colpevole? E se mi esponessi con una dichiarazione pubblica per ricordare che ogni indagato è innocente fino a sentenza definitiva, come reagirebbe il mio amico Giuseppe “spazzacorrotti“?

Che fine ha fatto il garantismo nel PD

Ecco, con ogni evidenza si può sostenere che nel corpaccione populista del Partito democratico la cultura liberale e garantista è una illustre sconosciuta, almeno fin dai tempi di Tangentopoli (quando si chiamava in altro modo). Ne sanno qualcosa, per fare qualche nome noto, Antonio Bassolino, Ottaviano Del Turco, Filippo Penati, Stefano Esposito. Ancorché in diversa misura, tutti padri fondatori del Pd. Tutti vittime di un giustizialismo ottuso, di un calvario processuale di cui si perdono presto le tracce. Salvo tornare, ma molto più marginalmente, sui giornali nel momento dell’archiviazione o del proscioglimento. Ad alcuni di loro i leader dem dell’epoca tolsero perfino il saluto.

La vis sanzionatoria

Un impeto censorio così ottuso, umanamente perfino crudele, solleva il fortissimo dubbio che tanta vis sanzionatoria non funga altro che da lavacro a basso prezzo per chi nel corso di decenni ha allevato, nutrito e alimentato la questione morale come utile bacino elettorale. La pancia del Pd si piega a impulsi forcaioli e reprimende eticizzanti. E i suoi vertici ci si mettono lesti in sella quando questi consentono, o si crede che consentano, di guadagnare un pugno di voti in più.