Trump ha ospitato Mohammed bin Salman alla Casa Bianca in una visita di alto profilo volta a ristabilire i rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita e a garantire importanti accordi nei settori della difesa, del nucleare e degli investimenti. Il “ritorno” del principe ereditario saudita negli Stati Uniti avviene il giorno successivo all’approvazione, con 13 voti favorevoli e con l’astensione di Russia e Cina, del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di una risoluzione che autorizza l’invio di una forza di sicurezza internazionale nella Striscia di Gaza, assicurando una vittoria diplomatica all’amministrazione Usa.

Il testo redatto dagli Stati Uniti è stato modellato sul piano di pace per Gaza in 20 punti del presidente Trump. La visita alla Casa Bianca del principe ereditario saudita segna il suo ritorno da “paria” sulla scena politica internazionale a potente mediatore regionale. MbS ha trascorso anni a riabilitare la sua immagine macchiata di sangue dal giorno dell’omicidio del giornalista dissidente saudita Jamal Khashoggi, avvenuto nel 2018. Assassinio che aveva fatto precipitare le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita a un minimo storico. Una indagine della CIA concluse che il principe ereditario aveva approvato l’operazione per uccidere e smembrare Khashoggi presso il consolato saudita a Istanbul, sebbene il principe neghi il coinvolgimento personale. L’eredità dell’omicidio di Khashoggi mise a dura prova i rapporti di Riad con Washington sotto l’ex presidente Joe Biden, che tenne a debita distanza il principe ereditario per la drammatica condizione dei diritti umani nel suo Paese e la condotta di Riyadh in Yemen.

Solo l’invasione russa dell’Ucraina, con gli elevati prezzi del petrolio e gli interessi di politica estera nella regione, spinsero Biden a fare ammenda e a riprendere i rapporti con il giovane leader saudita, che aveva da un lato notevolmente ampliato le libertà sociali nel regno, ma al contempo aveva inasprito la repressione politica incarcerando i suoi oppositori. Trump, a differenza di Biden, non ha sentito la stessa necessità di placare le critiche dei difensori dei diritti umani e ha subito abbracciato l’Arabia Saudita, anche nel suo secondo mandato, scegliendola come destinazione per il suo primo viaggio all’estero. L’amministrazione Usa ha accolto il quarantenne principe con i consueti onori riservati a un capo di Stato. Alla vigilia dell’incontro, il presidente statunitense ha manifestato l’intenzione di vendere i caccia F-35 a Riyadh. Un eventuale accordo potrebbe mettere a repentaglio i rapporti di Washington con Israele. La vendita difficilmente verrebbe approvata dal Congresso, a meno che non sia condizionata alla normalizzazione dei rapporti tra l’Arabia Saudita e Israele.

La fornitura a Riyadh di F-35 della Lockheed Martin renderebbe l’Arabia Saudita l’unico paese del Medio Oriente, oltre a Israele, e il primo stato arabo, a possedere jet di quinta generazione, che è il principale caccia nell’arsenale della NATO. Il ruolo dell’Arabia Saudita nella risoluzione dei conflitti regionali è essenziale. Tra i dossier regionali discussi con Trump figurano quelli dell’Iran, del Sudan, dello Yemen e di Israele e Palestina. Trump spinge per un accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele nell’ambito degli Accordi di Abramo, i cui firmatari includono Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco. A questi si unirà il Kazakistan, un paese che intrattiene già legami diplomatici formali con Israele. L’annuncio, fatto direttamente da Trump, serviva a dare slancio agli Accordi di Abramo in vista della visita saudita. Ma nulla fa prevedere che l’Arabia Saudita aderisca agli accordi mediati dagli Stati Uniti in assenza di progressi significativi verso la creazione di uno stato palestinese, che rimane una prospettiva remota sotto l’attuale governo di destra di Israele. Netanyahu ha appena promesso di opporsi a qualsiasi tentativo di creazione di uno stato palestinese.